Non era facile creare una trilogia sul grande schermo partendo dall’avventura di Bilbo Baggins e dei tredici nani, raccontata nel romanzo pubblicato da Tolkien nel 1937. Ma Peter Jackson, già regista de Il Signore degli Anelli, nella Terra di Mezzo si muove come se fosse a casa sua e riesce a raccontare, in due ore e quaranta di film, soltanto una parte della storia, senza annoiare né tradire lo spirito del romanzo. Lo Hobbit – un viaggio inaspettato narra di come Bilbo, hobbit pacifico e innamorato della sua verde Contea, si lasci trascinare in un viaggio rocambolesco che lo porterà, alla fine, faccia a faccia con un drago.
una sera in apparenza tranquilla, uguale alle altre, quella in cui tredici nani irrompono nella confortevole casa di Bilbo, a cui svuotano la dispensa e annunciano di essere in partenza per una grande impresa, dove serve un abile scassinatore. Lo scopo della missione è riprendersi la montagna sottratta ai nani dal leggendario drago Smaug che, attratto dalloro, ha sparso fuoco e terrore in una terra lontana. E Gandalf, lo stregone saggio che sembra in grado di leggere in fondo al cuore, sa che Bilbo è pronto per una vera avventura.
Forse è il destino, oppure l’anello, a chiamarlo: fin dall’inizio, si nota nello sguardo di Gandalf un presentimento di ineluttabilità, il sentore di un cambiamento irreversibile. E chi ha visto Il Signore degli Anelli sa cosa accadrà nel futuro di Bilbo. La scelta di raccontare la storia in flashback, mostrando il vecchio Bilbo che scrive le sue memorie per lasciarle al nipote Frodo, rivela il desiderio di creare dei ganci narrativi con la trilogia precedente.
I nostalgici apprezzeranno la sequenza dedicata a Elijah Wood, così come il ritorno di musiche, paesaggi e volti ben noti: Saruman, Elrond, e l’algida Galadriel. Ma questa è la storia del giovane Bilbo, del viaggio di formazione che lo trasforma da hobbit diffidente in un eroe che conosce il significato dell’amicizia, della lealtà e della vita. Da Gandalf, Bilbo apprende il valore della compassione, la “pietas” degli eroi dell’epica classica: il vero coraggio consiste nel capire quando non usare la spada, più che nell’usarla. L’eroe tolkeniano sa rispettare la vita altrui e riesce a scorgere un guizzo di umanità anche in chi, come Gollum, sembra averla persa.
E quando il fantasy incontra l’epica, il film raggiunge le sue vette, come accade con il nano Thorin Scudodiquercia, che Jackson e gli sceneggiatori trasformano in un personaggio dolente e fatalmente tormentato, animato dal desiderio di ritrovare il suo regno. Se gli inserti comici cercano di dare un tocco di leggerezza alla storia, sono le sequenze del bizzarro mago Radagast, che vive in comunione con la natura, a creare un’atmosfera magica che si tinge di surrealismo.
L’uso massiccio degli effetti 3D rende straordinarie le scene in esterno, con le bianche montagne che incombono sullo spettatore e i cieli infiniti della Nuova Zelanda, tinti di rosa. Ma a dominare la scena è il bravo Martin Freeman, che interpreta un Bilbo convincente e ricco di sfumature, da momento in cui etichetta i nani come vagabondi alla gara di indovinelli con Gollum, a cui sottrae il famoso anello, fino a quando non afferra la spada e difende Thorin, riconoscendo infine il desiderio profondo che li accomuna.
Aspettiamo allora la seconda tappa del viaggio “inaspettato”, che come sempre nelle opere di Tolkien rappresenta l’emozionante, e tormentato, percorso della vita.