Il rapporto con Dio è anche, se non soprattutto, una questione di racconto, di narrazione, di saper coinvolgere il lettore o lo spettatore in una storia che ne trasmetta lessenza, se non lesistenza. Lo sa perfettamente Ang Lee, che per il suo nuovo film Vita di Pi scomoda un best seller di Yann Martel e la più raffinata tecnologia tridimensionale per realizzare quello che è uno dei più interessanti film biblici fatti senza il supporto della Bibbia.

Protagonista è Pi, diminutivo di Piscine Molitor (celebre e ormai abbandonata piscina pubblica parigina), figlio del proprietario di uno zoo che assieme alla famiglia e agli animali decide di emigrare fuori dallIndia. Ma una tempesta tremenda colpisce la nave su cui viaggiano, lasciando Pi da solo su una zattera assieme a pochi animali, tra cui la scontrosa tigre Richard Parker, che presto sarà la sua sola compagna di viaggio, in mezzo allOceano.

Scritto da David Magee, Vita di Pi è unavventura fiabesca, tratta da una storia vera che diventa magia in poche battute, che romanza restando fedele e che mentre riflette su cosa è vero e cosa è immaginazione, su cosa è giusto raccontare e su come raccontarlo, traccia anche un quieto ritratto spirituale.

Pi infatti è una sorta di anti-Noè, un uomo solo in mezzo alla catastrofe assoluta che non deve fraternizzare con gli animali per ripopolare la Terra, ma farsi scudo da una natura che conosce e raffrontarsi allassoluto partendo da se stesso, dalle proprie esigenze, dal bisogno di restare vivo seguendo gli istinti al loro grado zero, per poi aprirsi agli altri, alla natura, al mondo inteso come spirito più che come società.

Lee sa come rivestire una materia potenzialmente melensa di ironia, sceglie una narrazione in prima persona per entrare dentro unavventura che a che fare con il lato più profondo dellessere umano e, soprattutto, per dare una funzione, che non sia mero spettacolo al 3D, alla clamorosa fotografia di Claudio Miranda, alla computer grafica che rende più veri del vero animali e manifestazione divine (la balena notturna, in unincredibile rilettura anti-melvilliana del mito di Moby Dick, in cui la balena non è lessenza maligna di Dio, ma il suo potere salvifico).

Vero protagonista diventa così, come dichiara Pi adulto a inizio film, Richard Parker, tigre meravigliosa e temibile, tra le più intelligenti incarnazioni della divinità degli ultimi anni, che travolge per espressività l’intero cast e che lascia commossi quando, proprio come una divinità, non saluta e non avverte quando ha deciso di lasciarci al nostro destino: Lee conferma il proprio talento pittorico – magari fin troppo freddo e calligrafico ma efficace -, però in questo caso conferma soprattutto l’abilità di un narratore che sa trascinare lo spettatore nella fantasia più sfrenata certificandola come vera, per poi spiazzarlo con uno dei piani fissi più drammatici del cinema contemporaneo.

Vita di Pi è forse il migliore dei film in uscita nel Natale 2012, stratificato e complesso racconto religioso, teorico saggio sulla sopravvivenza, ma anche, e forse più di tutto, canto alla meraviglia del cinema, della natura, della vita e della forza dell’essere umano. Può sembrare paradossale spendere 120 milioni di dollari e riempire il film di effetti (ma anche affetti) speciali per giungere a un nucleo così scabro ed essenziale. Non lo è però, se come Lee, ci si riesce ad arrivare.