Rivitalizzare la materia classica con linguaggi contemporanei è uno dei cardini dellestetica post-moderna. Che se ne appropri Joe Wright dopo laccademia di Orgoglio e pregiudizio ed Espiazione (ma anche dopo la follia techno di Hanna) fa un po effetto: ma il suo Anna Karenina – fuori concorso al festival di Torino, nella sezione Festa mobile – è un sorprendente modo per restituire a Tolstoj lafflato che la polvere di troppo teatro e troppi sceneggiati gli avevano tolto.

Nella Russia imperiale di fine Ottocento, Anna, moglie dellufficiale Karenin, si reca a Mosca dal fratello, il cui matrimonio sta naufragando. In viaggio conosce la contessa Vronsky e suo figlio, un affascinante ufficiale di cavalleria dal quale si sente subito attratta. Nellambiente rigido e convenzionale dellalta società russa, una relazione illecita potrebbe distruggere la reputazione della donna, la quale cerca di dimenticare il suo amore, senza però riuscirvi. Karenin è quindi costretto a porre la moglie di fronte a un bivio con drammatiche conseguenze.

Scritto dal grande drammaturgo Tom Stoppard, Anna Karenina è un sontuoso melodramma storico che diventa una revisione linguistica sul teatro e il musical classici, facendo con Tolstoj ciò che Baz Luhrmann fece con Shakespeare in Romeo+Juliet o ancora di più con lepica di Degas in Moulin Rouge.

Tutto ambientato in un teatro che non fa solo da cornice per lo spettacolo, ma diventa anche il set in cui ricostruire ogni scena, il film è una fantasia sfavillante che parte dal mélo, si direbbe lo usa, per costruire un omaggio di Wright al cinema hollywoodiano tutto in teatro di posa, in cui però cavi, quinte e fondali sono esibiti, in cui la precisione coreografica dei movimenti teatrali diviene il ritmo della recitazione, in cui la messinscena frontale si apre e diviene cinema che a tratti possiede lincanto dei grandi classici (Karenin, sul proscenio, con le luci che lo illuminano fiocamente dopo aver scoperto il tradimento di Anna).

Quello che riesce meno in Anna Karenina è reinventare, oltre la forma, lemotività del racconto, non attraversandolo per arrivare al cuore, ma restandone dietro, limitandosi agli occhi. Non di meno, Wright riesce a conquistare lo spettatore grazie a uno sfavillante apparato tecnico – fotografia di Seamus McGarvey, musiche di Dario Marianelli e, soprattutto, le scenografie di Sarah Greenwood in fortissimo odore di Oscar – e a un cast di quelli che fanno invidia a ogni regista, composto di grandi del cinema britannico e non solo.

E se Keira Knightley si trova con il regista più a suo agio che altrove, la parte del leone la fa un grande Jude Law, che dà allo splendido personaggio di Karenin il dolore sottaciuto di chi cerca invano di vincere contro i sentimenti. Anche solo per le scene a lui dedicate, per l’intensità con cui rende la dignità quasi un elemento “negativo”, Anna Karenina è un film meritevole, tra i più attesi delle prossime settimane.