Non aver commesso il fatto spesso non basta. La forza con cui la convinzione di colpevolezza si estende a macchia dolio può distruggere qualsiasi ipotesi di innocenza. Spazzando via le certezze di una vita tranquilla e irreprensibile, scavando un solco profondo tra noi, presunti colpevoli, e il resto del mondo. Lo stesso in cui vivono i nostri amici – i nostri migliori amici -, la nostra famiglia, i nostri colleghi.
Un fiume in piena trascina a valle qualsiasi sentimento di prossimità tra noi e loro, lasciando i resti infangati di una vita ammaccata. così che ci sentiamo durante, e soprattutto dopo, la visione de Il sospetto, firmato dalla regia solida, fredda, ma non per questo impersonale, di Thomas Vinterberg.
Un sospetto, quello che diventa il pesante fardello di Lucas, che si insinua nella storia fotogramma dopo fotogramma, quasi senza lasciare spazio a un giusto diritto di replica. Lucas non è il mostro che esce dalle parole di Klara. Piccola, bionda e di una bellezza forte come la sua immaginazione, Klara, che è figlia del miglior amico di Lucas, racconta una bugia sul suo maestro di asilo. Solo perché è arrabbiata e a suo modo si sente ferita.
Lei, che per colmare alcuni vuoti lasciati dai genitori, si affeziona decisamente troppo a Lucas. Confondendo i piani dellamicizia e dellaffetto, della famiglia e del lavoro. Come potrebbe fare diversamente, lei che è solo una bambina? Che ha costruito un cuore colorato e lo ha regalato al suo maestro e compagno di viaggio nelle fredde mattine che la conducono allasilo. Lui che la prende per mano quando lei ha paura e la accompagna in luoghi caldi e sicuri.
Che siano casa o lasilo. Lucas fa quello che è giusto, le restituisce il cuore. Forse spezzandoglielo, in qualche modo. Da qui rabbia e confusione, voglia di raccontare una bugia che diventa la verità secondo molti. E Lucas in un attimo diventa un mostro che abusa dei bambini. Non solo di Klara, ma anche di tutti i suoi compagni, secondo unagghiacciante logica della suggestione che lascia senza parole e senza via di scampo. Lucas, certo, ma anche noi spettatori, che siamo gli unici, insieme alla bambina e al presunto maniaco, a conoscere la verità.
Così scorrono le due ore del film. Penetrante nella sua forza e inevitabile nei sentimenti che genera in noi. Di partecipazione, di stanchezza, di rassegnazione. E un improvviso, ma solo all’inizio, moto di ribellione per il tono pacato con cui Lucas affronta coraggiosamente la montagna che gli sta crollando addosso. Non urla, non reagisce rabbiosamente, non si difende. Procede nella sua vita quotidiana, nonostante gli insulti, le manifestazioni di disgusto che tutti gli gettano addosso.
È anche questo che colpisce. La sua calma, la pacata lentezza con cui si muove in una vita che lo scuote. Come a voler proclamare così la sua innocenza. E noi, noi che sappiamo, a volte soffriamo nel vederlo così immobile. Ecco, immobilità. È questa la sensazione che a volte compare. Non nella storia, che procede fluida nella sua logica drammaturgia. Nemmeno nel suo personaggio, che è profondo e reso magistralmente da Mads Mikkelsen, che per questa interpretazione ha vinto la Palma d’oro come migliore attore nello scorso Festival di Cannes.
Immobilità come gocce d’acqua che scavano nel profondo. Questo è Lucas. Un uomo che mantiene una superficie di piatta facilità, ma i cui occhi raccontano le vivide emozioni di delusione, malinconia e tristezza che navigano nel suo cuore. E più si va avanti, più si vorrebbe che reagisse alla valanga di menzogne che lo dipingono come un mostro.
Anche la regia si allinea a lui. Calma, realista, quasi lenta nella sua schiettezza. Fredda, si è detto, nel tono e nelle emozioni che suggerisce. Fredda per il gelo che ci lascia nell’accompagnarci fino alla fine della storia. La paura e l’inquietudine che chiunque possa cadere nel buco nero delle convinzioni di una piccola (o grossa) comunità e che anche quando l’ordine è stato ristabilito e le ombre dissolte, lo spettro del sospetto possa rimanere sempre vivo nello sguardo di chi ci circonda e ci accoglie di nuovo fra le sue braccia.