la Academy stavolta  ha indicato la luna e non il dito. Premiare agli Oscar The Artist e Meryl Streep per The Iron lady significa da una parte segnalare al mondo un film neanche di casa loro, ma figlio della nobile cinéphilie francese; dallaltra, aggiungendovi la pioggia di Oscar tecnici a Hugo Cabret di Martin Scorsese, affermare che la cosa preziosa, oggi, è il cinema-cinema: consapevole che la propria storia che comincia col muto, che la propria evoluzione è sempre fondata sul grande artigianato di gruppo (compresi noi italiani arredatori e scenografi superbi) e infine che il tassello decisivo è lattore, il mestiere dellattore/attrice allantica, fatto di suprema mimesi e realismo come la Streep totalmente al servizio della Thatcher.

Insomma, in un mare di action/techno/cartoon per adolescenti il mondo degli addetti ai lavori indica il sano, antico gusto del ben scrivere storie, ben girarle e ben recitarle. A noi questa premiazione fa questo effetto. Anche se, su The artist appena visto, ho scritto e riscriverei oggi: Quel mondo un po padronale ma attento ai gusti del pubblico della Hollywood anni Venti-Trenta cui ci ha riportato sorridendo The artist, capolavoro di grazia e finezza che rilancia a sorpresa il cinema muto. Solo una domanda però: quanto siamo in fuga dal nostro incomprensibile presente, così da tornare divertiti e plaudenti allo snodo del passaggio fra muto e sonoro che fu già il punto di partenza di un capolavoro come Singin in the rain, anno di produzione 1952 (!!!)? Sulla Streep, invece, ho recuperato il mio tweet a caldo alluscita del cinema:

Visto Iron Lady, l’interpretazione forse più matura di Meryl Streep, giá in nomination agli Oscar. Film solido, encomiastico ma ben scritto.

Ecco, ritorna lidea di ben scritto. Cinema o no, è quello di cui abbiamo davvero bisogno oggi: almeno buon artigianato, visto che di poeti non ne abbiamo più.

Invece di grandi artist anche in Italia grazie al cielo, seppur invecchiati, ancora qualcuno ce nè. Il 20 febbraio non ho potuto mancare, al Teatro alla Scala, uno dei preziosi appuntamenti con Maurizio Pollini, neosettantenne sacerdote di quella macchina poetica a tasti e pedali che è il pianoforte. Vorrei partire dalla festa, lautentica festa con cui per lennesima volta lha circondato la sua città, Milano, in quello che da molti anni è il suo teatro. Laffezione era innanzitutto per:

– Pollini stasera al @teatroallascala: lucida e commovente la sua fedeltá a Chopin. Ora aspettiamo il suo Liszt

Chopin, appunto. Lo esegue fin da ragazzo, lo esegue oggi a settantanni con lucidità, gusto del suono, rigore, soprattutto fedeltà assoluta al dono ricevuto. Ci mette tutto di sé, senza risparmio, e questa grande tenuta tecnica, oggi più di ieri, è frutto di sacrificio, di lavoro, di impegno. Fosse solo per quello, fra la dolcezza dei Deux nocturnes op.62 e la Fantaisie op.49, la festa milanese, con tanto di standing ovation, era assolutamente dovuta. 

E poi, anche se personalmente non riusciamo ad amarlo, il Liszt materico, da evoluzione tecnica della macchina pianoforte (Pollini ha eseguito Nuages gris R 78 come fosse uno Stockhausen in anticipo) era puro “servizio” alla cultura, nonostante misurarsi con la stranota Sonata in si min. R21, fosse porsi senza infingimenti al servizio del pubblico e a confronto coi più grandi interpreti del secolo.

Insomma grandi che resistono, mentre a diverse ore dal debutto del Walter Chiari di Alessio Boni per Raiuno non abbiamo ancora le idee chiare. Stasera ci faremo l’idea definitiva, di questa fiction della Casanova di Luca Barbareschi che ha vinto col 21% di share (oltre 5 milioni di telespettatori), la prima serata di domenica, per adesso incertezza. Non su Boni, che è davvero quasi una Meryl Streep della tv di casa nostra, tanto ha studiato e riprodotto con finezza il volto e il carattere del grande showman di almeno tre grandi decenni della televisione italiana.

Chiari era bello, simpatico, avventato, irregolare, insolitamente colto e intelligente, per un ex operaio diventato fidanzato di lucia Bosé ed Ava Gardner. La fiction firmata da Monteleone si avvicina con calma alla sua storia, ne coglie le contraddizioni senza fare sconti – con grande empatia racconta la infausta storia di droga che stroncò troppo presto la sua carriera –, ma è come se mancasse qualcosa del mistero Walter Chiari. Che fu grande irregolare del teatro e della tv italiana, comico di razza e modernissimo indagatore dei nostri vizi, di cui era il primo praticante. Aspettiamo con ansia stasera: vogliamo vedere come Boni e Monteleone risolveranno quel sorriso e quella maschera che divennero dramma.

Fatti miei, anche se non si deve. Qualcuno mi ha detto: che ci sei andato a fare nel covo di Michele Santoro, Servizio pubblico. So che dispiace ad alcuni ogni volta che lo ripeto, ma io ho grande stima nei suoi confronti, così di Michele mi prendo tutto il pacco, difetti compresi. Ma ogni tanto va spiegato che il primo problema di un collegamento esterno con una trasmissione non è il sospetto che ti vogliano usare o non ti vogliano far parlare; il primo e vero problema è il maledetto ritardo audio-video cui sei costretto e che ti impedisce di intervenire puntualmente nella discussione.

Tu dici una parola, lo studio la recepisce in ritardo. Poi qualcuno replica a ciò che hai detto, e mentre gli stai rispondendo in realtà il telespettatore ha già sentito la replica di un altro astante cui risponderai dopo. Insomma è un gran casino, il conduttore non c’entra. Il collegamento si dovrebbe aprire senza dialogo e chiudersi come un filmato pre-cotto. Chi vuol davvero dialogare con lo studio deve andare lì. #Sapevatelo, come diciamo noi di twitter.