Non cè mai stato feeling tra il governo dei tecnici di Mario Monti e la trasmissione di Michele Santoro. Ma da due puntate a questa parte, e ieri sera in particolare, lirritazione e il fastidio si sono trasformati in aperta contestazione e ostilità. Servizio pubblico crede di fare una scelta editoriale innanzitutto. E in effetti si colloca vicino a Il fatto e si distingue così , in una sorta di lotta nella sinistra lunare, da la Repubblica di Eugenio Scalfari, che viene più o meno tacciato, dallo stesso conduttore, di patriottismo al servizio del governo delle banche.
Se si potesse ragionare solamente in termini editoriali, si potrebbe dire che Santoro e i suoi ribelli giocano lultima carta contro. Contro qualsiasi sistema, contro qualsiasi governo, contro le banche, contro tutti e tutto. Trovare un bersaglio che sostituisce Silvio Berlusconi è stato difficile, ma alla fine, Santoro ce lha fatta. Il problema è che, a nostro modesto parere, Santoro e i suoi ragazzi di giornalismo ne fanno poco. In realtà, vogliono essere i suggeritori, i divulgatori e gli interpreti di una nuova sinistra. Lo stanno facendo dal 1990, raccattando più che notizie dei si dice, dei sospetti, delle veline che arrivavano una volta dalle procure e oggi da altri suggeritori.
La scelta quindi è più di politica militante che editoriale. Descrivere il disagio di Paesi come la Grecia è doveroso, ma anche troppo semplicistico nei termini che fa Santoro. Così come accompagnare, con una certa compiacenza più che con rispetto e dolore, ogni protesta ribellistica che nasce nel nostro Paese. In questo caso fare buon giornalismo sarebbe certo documentare quello che avviene, non nascondere nulla, ma nello stesso tempo mettere a confronto opinioni politiche realmente differenti, interpretazioni della realtà in modo contrapposto, senza prendere partito a priori. Santoro invece ha dei compagni di viaggio ben precisi. La segretaria della Cgil, Susanna Camusso, i vari leader della Fiom e poi, naturalmente, tutta la vecchia compagnia giustizialista che da venti anni imperversa in questo Paese.
Possiamo dire che Santoro qualche passo in avanti nella comprensione della grande crisi lo ha fatto. Finalmente si parla di banche, si accenna al sistema finanziario internazionale. Ma è proprio un accenno, perché poi la colpa principale, gira e rigira, va a finire sempre sulla casta, che di colpe ne ha tante, ma non ha certamente quelle di una crisi mondiale sistemica, che una buona trasmissione televisiva (notoriamente orientata sinistra) dovrebbe inquadrarla bene, una volta per tutte, non tratteggiarla solamente e lascandola in sospensione perenne.
La sensazione è che Santoro, alla fine, cerchi di difendere sempre quello che ha difeso in questi ultimi venti anni: una contestazione perenne, una specie di sessantottismo ininterrotto, un incalzare continuo, una pressione incessante per spostare il baricentro della politica italiana sempre verso una sorta di “sinistra lunare”. Sì, proprio quella del vecchio Pietro Ingrao che risorge dalla ceneri con il suo “Volevo la luna”. Non c’è spazio quindi nemmeno per il Partito democratico di Pierluigi Bersani, tanto meno per il senatore Pietro Ichino. L’unica scelta è quella basata su quattro pilastri: a favore della magistratura, vicino alla Cgil, contro la “casta”, ma anche contro una vera liberalizzazione del Paese. Il “liberale” Travaglio ha difeso nel suo “editoriale ad personam” il valore legale dei titoli di studio!
C’è da aggiungere che in questa scelta postberlusconiana e in fondo post-primarepubblica, Santoro si ritrova come nel magma della sinistra sessantottina. Dopo aver contribuito allo sbullonamento del sistema, mentre si contavano le macerie, i ribelli di quell’epoca cominciarono a dividersi in gruppuscoli. Adesso, i vincitori di venti anni fa si stanno dividendo tra loro, formando gruppuscoli sempre alla ricerca del “più puro che ti epura”. Purtroppo il tempo è passato, le ridotte scelte editoriali servono a poco e le uscite da questa grande crisi, già dolorose per tutti, alla fine rischiano di essere ancora più dolorose per i vecchi “profeti della rivoluzione giudiziaria”.