Dal 23 gennaio la poesia ha fatto irruzione in televisione. Quanti seguono il programma Unomattina su Rai Uno infatti avranno notato qualcosa di particolare, certamente diverso da quanto si vede di solito in televisione. Per una manciata di secondi, che non arriva neanche al minuto, un volto appare e recita alcuni versi di poesia. Si tratta di poeti, tra cui uno dei due ideatori di questo progetto, il poeta e scrittore Davide Rondoni che lo ha messo a punto insieme a Maria Pia Ammirati, responsabile del programma Unomattina. Ecco allora che versi di Baudelaire, Pasolini, Ungaretti fanno capolino tra servizi di cronaca, attualità, intrattenimento. Una sfida troppo esagerata? Secondo Maria Pia Ammirati, intervistata da IlSussidiario.net “con questa idea non abbiamo voluto far calare dall’alto una pretesa nei confronti del telespettatore. Quello che cerchiamo di fare è irrompere a gamba tesa nella programmazione per suggerire qualcosa che rimandi ad altro”. Un improvviso flash, dunque, che incuriosisca lo spettatore e lo porti a recuperare il libro del poeta appena ascoltato, ad approfondire. Insomma, a muoverlo. E secondo Anna Maria Ammirati, “il tipo di gradimento che stiamo riscontrando da quando abbiamo cominciato questo progetto, sembra darci ragione. Stiamo infatti pensando di esportare il progetto a tutto il palinsensot di Rai Uno, dunque a tutti gli altri programmi televisivi della giornata”.



Come nasce l’idea di portare la poesia in televisione?

Le idee nascono sempre improvvisamente nella mente di qualcuno oppure ragionando con amici che hanno le stesse affinità elettive e culturali. In questo caso io e Davide Rondoni ragionavamo insieme della possibilità di portare in televisione la poesia. Per anni mi sono occupata di programmi culturali provando a portare in tv non solo la poesia, ma l’arte in generale.



Che tipo di riscontri aveva avuto?

Che è una cosa molto complicata perché i libri in televisione ad alcuni livelli sembrerebbero comunicare molto bene mentre ad altri livelli non riescono a fare ciò.

E come si differenzia questa vostra idea dai tentativi passati?

Abbiamo ragionato su questa difficoltà di comunicazione, ma soprattutto sulla difficoltà del telespettatore di gradire  il libro o il verso di poesia. La mia idea allora è stata quella di sfruttare la sinteticità della poesia, di portare cioè alle estreme conseguenze la poesia così come fattore di espressione che comunica attraverso i versi e quindi attraverso la brevità.



Ci racconti nel dettaglio come avviene.

Diciamo che si tratta di una radicalizzazione  del concetto stesso di brevità che è legato alla poesia. Quello che abbiamo immaginato e quindi realizzato sono come degli spot. Non portare dunque il verso poetico in televisione magari per parlarci sopra, ma entrare quasi a gamba tesa in un palinsesto già consolidato, dei programmi che hanno già un loro ritmo e i loro temi, con la brevità e anche con la forza dell’immagine.

Immagine che ha anch’essa una sua importanza.

Si tratta infatti di immagini molto forti girate su un bianco totale. Non c’è niente in scena, ho voluto l’assenza totale della scenografia, c’è solo in primissimo piano il volto del poeta che recita la poesia. Teniamo conto poi che non la dice neanche tutta perché lo spot si deve tenere dentro un massimo di 45 secondi. Quindi il poeta sceglie dei versi facendo anche una operazione di taglio dentro alla poesia e ottenendo così una  doppia provocazione.

Una sorta di flash dunque che rimanda a qualcosa d’altro.

Esatto, deve rimandare il telespettatore al libro, lo spettatore deve entrare dentro questo mondo a parte. Qui, in quello che proponiamo noi c’è solo la parola, e questo flash deve rimandare ad altro, alla possibilità di prendersi il libro e tornare su Petrarca o su Pasolini,  è una poesia che irrompe e però dopo l’irruzione vuole essere partecipata.

Cosa vuol dire, in questo senso, televisione generalista e televisione che vuole fare cultura?

Tutta l’informazione che passa attraverso i linguaggi è cultura. Dicendo una ovvietà, si può dire che la differenza passa da culture basse e culture alte. Ma la televisione non è accademia, dal mio punto di vista non deve avere un aspetto formativo o educativo, ma deve avere il suo ruolo specifico. A occuparsi di educazione è giusto che restino a farlo le scuole.

E come deve essere allora la televisione, secondo lei?

La televisione deve essere corretta nei suoi linguaggi, deve essere autorevole e deve essere verificabile. Si potrebbe dire che debba intrattenere così come può intrattenere un buon libro, ma non è una espressione corretta.  Il libro  infatti deve fare qualcosa di più dell’intrattenimento. La televisione invece deve intrattenere e deve fare il meglio dell’intrattenimento. Deve insomma fare ciò per  la quale è chiamata a fare il proprio mestiere.

In questo senso il vostro progetto non vuole essere una sorta di imposizione, del tipo: adesso vi facciamo vedere noi cosa è la cultura.

Diciamo di sì, anche se quello che ho detto a proposito dell’intrattenimento non esime la televisione dall’utilizzare le culture alte, ma deve essere capace di farlo contaminando cioè alto e basso e permettendo a persone che non hanno voglia o strumenti di poter accedere a linguaggi alti.. Sentire Davide Rondoni che recita Baudelaire o Ungaretti è già cultura alta.  Mettiamo questi poeti a disposizione di tutti senza però metterli in condizione di superiorità. Non veniamo a dire che noi siamo il vate, ma ti metto nella condizione di poter accedere a un linguaggio importante che in quello specifico momento diventa anche divulgativo.

Lei è attiva anche come scrittrice di romanzi. Oggi i giovani hanno a disposizione tantissime opportunità oltre alla televisione, pensiamo a Internet. Davanti a tutte queste proposte, che ruolo rimane alla famiglia per dialogare con i figli?

La famiglia ha un ruolo essenziale sempre, dal momento dello svago alla formazione la famiglia è prioritaria su tutto: Sappiamo che la scuola è importantissima come momento di condivisione e di crescita ma la scuola arriva sempre dopo la famiglia. Ricordiamoci che i nostri figli fino ai 3 o i 5 anni vivono solo l’ambiente familiare e quello che i genitori riescono a fare su un bambino viene prima di ogni altra cosa. La famiglia cioè deve essere comunque capace di interpretare il mondo anche per i ragazzi che sia con la scuola o la tv.