…Giorgio Gaber è tutto nuovo e tutto da riscoprire. Lautocitazione stavolta è obbligatoria, perché è stato dietro la sollecitazione della Fondazione Gaber e del Centro culturale di Ortona San Tommaso Apostolo se ho rimesso il naso e gli occhi in quel tesoro che è la raccolta libro+dvd: Giorgio Gaber Gli anni Sessanta (Settanta, Ottanta, Novanta), curata dalla Fondazione. una vera e propria banca dati di quarantanni di Gaber in carne e ossa attraverso tv e registrazioni documentarie di alcuni teatri italiani, una banca dove trovare appunto cose sempre nuove e ritrovare memorie assopite.
Tutto sta alla chiave di lettura con cui ci si accosta: io ne ho scelto una personale e da sempre molto amata, il cui titolo, Il mistero di un uomo e una donna non è altro che un verso della misteriosa canzone di Gaber e Luporini del 1980: Il dilemma. Partendo dal Gaber 23enne de Le strade di notte per arrivare al maturo sessantenne di Quando sarò capace di amare – e inframmezzando il tutto con una mia intervista Rai a Gaber di 15 anni fa (che vergogna il sottoscritto di allora) – ho imbastito per un centinaio di attenti abruzzesi venuti ad ascoltare ben 90 di filmati legati da poche chiacchiere e riflessioni.
Eccone alcune: Partito come cantante romantico, quello di Non arrossire, Gaber alla fine degli anni Sessanta arriva a capire insieme a Luporini che la parola AMORE non si può più pronunciare, che la verità degli uomini e delle donne è che il sentimento, linnamoramento non possono bastare a dire la verità del loro rapporto. La strada di un uomo e una donna è unaltra, tutta da cercare. Ecco, semplicemente ho ripercorso, preparando quellincontro, la profondità di una riflessione sul rapporto (anzi sul mistero) uomo-donna che davvero non ha avuto eguali nel nostro tempo, e che va ancora indagata e studiata daccapo, specie oggi che le complicazioni, le tensioni e le scoperte dellepoca, dal femminismo alla psicanalisi, hanno preso altre forme e sentieri.
Ripartire da Gaber, ancora una volta, per mettere a fuoco il nostro presente. Gli amici che ascoltavano e vedevano in quella sala ortonese davanti al mare hanno tenuto botta, pur in gran parte nulla sapendo del Signor G e della sua arte (a parte il professor Fidelibus, insolita, travolgente figura di docente universitario-contadino-filosofo di Chieti che ebbe memorabili incontri con lui): due ore fitte fitte di parole, monologhi e canzoni. Bella esperienza.
E naturalmente non è stato diverso per la memorabile ennesima serata italiana – ne ho collezionate a decine in questi ultimi ventanni – di James Taylor agli Arcimboldi di Milano. Tutto in un tweet
– James Taylor agli Arcimboldi MI: fantastica souplesse con acustica, tastiere, basso e batteria. Classe, misura, musica
Quel signore sessantenne, che stavolta ha deciso di tornare ad avere una sezione ritmica in tour, non tradisce mai. Repertorio imponente, autoironia formidabile, voglia di cantare bluesy sempreverde. lopposto dellagitarsi crossmediale di ogni artista Usa, internazionale e italiano del presente: canta e suona, con tempi e modi antichi, essenziali. E guarda caso non ha mai fatto così tante date italiane nella sua storia: praticamente lintero mese di marzo su e giù per la penisola. Abbiamo fame di classe, di semplicità, di belle canzoni, vecchie e nuove. Il segreto è tutto qui.
Perché confessiamolo: se invece andiamo a rivedere Roger Daltrey che rifà Tommy, la mitica opera rock dei Who del ‘69 al Carlo Felice di Genova, è una pura e semplice operazione nostalgia. Daltrey “è” – anche senza Pete Towshend e anche con metà della voce che aveva allora – i Who, la sua serata vive di riproposta di vecchi titoli su cui tutti si alzano in coro, compresi i neofiti che li hanno scoperti con Who are you come sigla di CSI in tv. Niente da rimproverargli però, tant’è che twitto:
– Mitico Daltrey, anche a voce ridimensionata dagli anni, chiude roteando il cavo microfono travolgendo i genovesi. Festa
La giovane band inglese che lo accompagna è perfetta (c’è anche Simon, fratello di Pete), il repertorio è riproposto con gusto. Serata perfetta.
Se cercavo altro, fra innovazione e freschezza, me l’hanno regalato due sere dopo nello stesso teatro genovese Elio e le Storie Tese, che da tempo avevo in animo di ritrovare in concerto. Allegri, paradossali, musicalmente impeccabili, fuori da ogni schema dell’italico rock, regalano serate corrosive e insieme godibilissime, forti di un repertorio poco commestibile e insieme alla portata di ogni palato. Sono da ormai diversi decenni una storia strana nella nostra musica, mai scesa a compromessi sull’unica cosa su cui davvero non transigono: il proprio stile.
Fanno tv abitualmente, hanno fatto Sanremo e tuttavia mai rinunciando alla propria faccia. Intransigenti della musica, mica agit pro. Perché se penso a Un, due, tre stella di Sabina Guzzanti mi torna la rabbia e il magone. Per questo rimando: meglio, molto meglio…