Quando arriva un dolore twitter è una bella terapia di gruppo virtuale, ma poi, per cambiare davvero, ci vogliono rapporti in carne e ossa. La morte di Lucio Dalla, per me che l’ho frequentato professionalmente e umanamente per 30 anni, è un evento che mi ha profondamente commosso. È difficile da spiegare, sembra far parte della retorica di massa che da molti giorni infuria sui media italiani, oppure sembra di mettere in piazza un’intimità che, visto il carattere aperto di Lucio, condividavamo in molti. E sembra anche gonfio di retorica, a rileggerlo, il primo tweet che – mentre giovedì mattina as usual ero alle prese con la scrittura del copione per la puntata di Tv Talk – ha fatto da mia prima reazione alla notizia:



Piango Lucio, un uomo vivo, un artista grande, un genio musicale, un amico affettuoso (mi ha sempre chiamato Bernardo). In cielo, di sicuro

Eppure piangevo sul serio, fino ad affidare del tutto ai miei affettuosissimi colleghi il proseguimento del lavoro e al richiudermi in un silenzio commosso e tentativamente, di preghiera. Però dopo pochi minuti mi viene in mente che pochi giorni fa ne avevo catturato col telefonino l’immagine, durante le prove a Sanremo. Ed eccomi dopo un po’ al secondo tweet con corredo di foto:



L’ultima volta che t’ho visto a Sanremo: anche lì geniale, diverso da tutti, non volevi oscurare Carone. Mi manchi

Anche qui tutto vero: vero che è stato l’ultimo incontro, vero che mi aveva impressionato il fatto che, unico della sua generazione, anche stavolta non aveva voluto oscurare con la sua immagine troppo ingombrante un giovane musicista in cui credeva e su cui stava lavorando come produttore (molto bene a giudicare dalla canzone Ninì). Poi, come forse qualcuno di voi avrà letto, la prima “terapia” mediatica attraverso una chiacchierata con gli amici de ilsussidiario.net, in cui la commozione comincia a sistematizzarsi come riflessione su un grande artista conosciuto da vicino.



Poi, subito dopo, la voglia di andare a riascoltare ciò che Dalla ci aveva detto sul suo rapporto con la tv a Tv Talk nel 2007. Per fortuna il lavoro riprende il suo corso e mentre lavori riemergono gli incontri, le parole, le tenerezze, ma anche i contrasti; tutto attraverso la sequela puntuale della sua carriera musicale disco dopo disco, concerto dopo concerto, intervista dopo intervista (allora quello facevo di mestiere: il cronista di musica). Però non ho voglia di fare nessuna telefonata ad amici/colleghi di quegli anni, tutti peraltro presi dalle incombenze del caso. Così twitter diventa il luogo di molte letture (bellissimi i rari tweet dell’amico e poeta Davide Rondoni, che in anni più recenti ha frequentato a lungo Dalla) e di qualche personale riflessione, magari allegando una vecchia foto:

“Aspettiamo che ritorni la luce/di sentire una voce/aspettiamo senza avere paura, domani”. Ridendo insieme, anni fa

 

La foto si riferisce a un incontro di almeno 25 anni fa, quando un gruppo di studenti dell’università di Tor Vergata a Roma mi chiese di “portargli” Lucio per conoscerlo. Di quel giorno non ricordo quasi nulla, se non l’improbabile camicia hawaiana che aveva addosso sotto un panama bianco, ma mi è rimasta la memoria lontana di uno spiazzamento, di una posizione sorprendente, non classificabile. I versi, ancora nel tweet, sono quelli ancora oggi sorprendenti, immensi, pieni di respiro, che parlavano di speranza in giorni forse fra i più neri della nostra storia: era il 1980, quando gli anni di piombo non sembravano poter mai finire. E invece Lucio ci offriva una canzone/opera/storia di 6’ sulla volontà di un uomo e una donna di far nascere il frutto del loro amore (“e se è una femmina si chiamerà Futura”), senza paura per quello che le sarebbe potuto accadere, proprio in giorni così scuri, colmi di sangue e furore ideologico. Questo mi ha subito rimandato a una bella mattina di sole milanese, in cui passeggiando davanti alla Statale di Milano con bambini e carrozzine fummo raggiunti alle spalle da quel suo grido affettuoso: “Bernardo!”. Vedendoci passare era uscito dal ristorante e ci aveva inseguito, finendo poi per condividere il pasto domenicale con mia moglie e i miei figli. Però la terapia dei ricordi funziona e non funziona; twitto:

Dalla: duri sonno e risveglio. Lo so fratello che stai nel posto giusto ma oggi dire Good morning, everyone you see is full of life è pianto

Alla fine ti rifugi nel lavoro-lavoro-lavoro, e anche il piccolo omaggio di 3’ minuti a chiusura della puntata di Tv talk, con tanto di groppo in gola abbondantemente previsto, forse serve. Poi, improvvisa, la decisione: quello che occorre è rifugiarsi da amici fidati, gente magari del mestiere, che un po’ di più avrebbe capito questi strani rapporti fra gente del “mondo dello spettacolo”. Gli amici, teatranti, però non sono a Milano, ma a Trento, dove lei, Angela Dematté porta in scena il suo bellissimo Avevo un bel pallone rosso sulla tragica vicenda della terrorista Mara Cagol. A Trento? Sì, a Trento, delineando così un weekend zingaresco MI-TN-BO-MI, tutto in treno. Bologna certo, perché partecipare al funerale di Lucio era cosa decisa da subito con altri amici, quelli della Fondazione Gaber, anche loro sodali di Dalla da ancora più anni di me. Venti ore a Trento con amici che ti sostengono, ti abbracciano, semplicemente ti fanno compagnia. Sono giovani, sanno poco di Lucio, per loro è uno stimato monumento della canzone. Ma che importa? Mica di un amarcord fra vecchi nostalgici avevo bisogno. E rivedere uno spettacolo così bello e importante (chi non l’avesse visto ha ancora a disposizione la serata dell’8/3 al Teatro di Varese in P.za Repubblica), frutto specialissimo di una artista giovane, seria, brava e appassionata, è un vero refrigerio per anima e cervello. Domenica si riparte presto per Mi dove ci aspettano gli altri per andare insieme a Bologna, e il tragitto – scaricato sull’Iphone al volo l’anomala super antologia curata espressamente da Dalla nel 2006, 12000 Lune – è insieme commozione e lavoro critico (deformazione professionale):

 

– Riascolto “Futura”, piango di gioia per una canzone/opera immensa, intessuta di cambiamenti musicali e di pura speranza in tempi oscuri. Genio

 

– Dalla: riascolto due joke come “Attenti al lupo” e “Ciao”: bassi e sound sintetici, le voci/smorfie nascoste, i diversi beat: era il più moderno

 

– Preparandomi a BO: riascolto “Apriti cuore” e capisco che è urgente riaprire tutto Dalla, per provare a capire davvero che artista è stato

 

– Perché amava tanto “Henna”, che considerava un suo capolavoro fino a volertela portare a casa perché l’ascoltassi? Sento e risento: un grido

 

– Sono a “Là”: quella voce di Lucio quando va su, in alto, e ci trascina tutti con sé. Mentre sai che poi tornerà giù fino al borbottio

 

– “Ayrton”: cosa pensava della morte? “Tu mi hai detto chiudi gli occhi e riposa” è cantato con consapevolezza, con pace, senza disperazione

 

– “Le rondini”: c’è il canto lirico, il sound, il suo sax alto e Lucio davanti al Mistero. La leggeranno in chiesa, pare. E sarà dura…

 

Si twitta finché si viaggia in solitudine, ma una volta raggiunti gli amici, anche più commossi di me, parte la stura del ricordo e dell’affetto, mai banale però, mai senza ragione e consapevolezza. Più che un treno questo freccia rossa domenicale è una tradotta dell’amicizia e dello spettacolo: ci si incontra, ci si abbraccia, si è davvero contenti di andare insieme. E quando si arriva alla stazione altri incontri, altre commozioni: tutto vero, reale. Si arriva in piazza e quel che hai visto in tv prende forma davanti ai tuoi occhi: una città in coda per salutare la persona amata. Risuona per Piazza maggiore la sua musica, riesco a intrufolarmi negli ultimi minuti di camera ardente, a dire un’Avemaria mettendo la mano sulla bara di Lucio, e intanto il pianto in gola poco a poco se ne va, anche se incontri tanti artisti e gente del mestiere con le lacrime agli occhi. Però con chi condivide la fede di Lucio, Ron, Vecchioni, Bibi Ballandi, Luca Carboni, Gianni Morandi, persino con quel meraviglioso israelita che è l’impresario David Zard, si parla del posto misterioso in cui ora Dalla è passato, e di quanto lui ha sempre immaginato di andarci: da appassionato di Gesù, oltre che di ogni uomo credente e in cerca del Mistero.

In Chiesa poi la messa, con la sua liturgia domenicale di quaresima, seguita da tutti senza formalismi né distrazioni, non credenti compresi. Per Lucio c’è tutto l’arco delle possibili sensibilità cattoliche: il provicario della diocesi di Bologna Cavina, il confessore padre Bernardo Boschi che tiene l’omelia, Vito Mancuso che legge la prima lettura, Enzo Bianchi che legge le bellissime invocazioni che ha scritto per lui, fino al portavoce dei frati di Assisi padre Enzo Fortunato. È semplicemente il funerale sereno, gioioso di un credente, magari in mezzo a una folla di agnostici e indifferenti che l’hanno amato  e che stanno in rispettoso silenzio (nella mia fila, fra Jovanotti e signora e la figlia di Gaber, facevo la figura di un preparatissimo chierichetto semplicemente perché rispondevo alle parti del popolo della messa). Ma siamo insieme, le lacrime se ne vanno. L’unico davvero disperato è il giovane amico e compagno di Dalla, l’attore Marco Alemanno, stravolto dal dolore, che però riesce a dirgli il suo straziato grazie. Alla fine si esce da San Petronio col senso di una cosa  compiuta, di aver accompagnato alla sua fine inaspettata una vita piena, ben vissuta, fatta di amore e curiosa di tutto. Quello che ci mancherà, di Lucio, è quello sguardo affettuoso e aperto che ci regalava a ogni incontro.

 

– Sensazione di letizia e serenità, mentre ripercorri i portici della BO di Dalla per la stazione. Tutto è bene e va

Così ti permetti di rimandare in rete una piccola immagine sgranata che hai rubato in chiesa in uno dei lunghi momenti di attesa, prima che cominciassero le esequie. Sono due angioletti barocchi svolazzanti e scherzosi ai piedi della grande croce bianca che conclude l’imponente baldacchino dell’altare maggiore in San Petronio. Chissà quante volte Lucio, che spesso veniva a messa lì, ci avrà sorriso su, su quel volo un po’ impertinente e giocoso intorno alla croce di Cristo. Domenica mi facevano pensare a lui dov’è adesso. Ciao amico: ridi di noi, come hai sempre fatto.