Vorrebbe essere Il grande freddo (Lawrence Kasdam, 1983) del 2012, ma non ci riesce. Anzi, stona rispetto allantenato. Che raccoglieva attorno alla bara di un grande amico i suoi compagni di sempre, in un discorso – lungo un fine settimana – che scorreva tra passato presente e futuro nellAtmosfera del 68. Ne derivava il ritratto di una generazione che di carattere ne aveva, a suo modo.

Il paragone con Piccole bugie tra amici (Guillaume Canet) cè. immediato sin dalla trama, vagamente somigliante al predecessore. Ludo (Jean Dujardin, Premio Miglior attore Cannes 2011, Golden Globes 2012 e Oscar 2012) ha un terribile incidente in moto che lo riduce in pessime condizioni. E gli amici, in procinto di partire per le vacanze di sempre nella villa di Max (François Cluzet, ormai noto per la sua performance in Quasi amici) a Cap Ferret, si accertano che le condizioni di salute di Ludo non siano drammatiche. E scappano dalla calda Paris.

Il paragone, dicevamo, si palesa. Ma non regge. Assimilabile Piccole bugie tra amici a Il grande freddo forse solo per le circostanze. Perché il film di Guillaume Canet non diventerà un film di culto né la fotografia precisa di unepoca.

Si parla di amore, di amicizia, delle bugie – grandi o piccole che siano – che allontanano e avvicinano. Alla fine, però, il film scivola via. Anzi, è abbastanza inutile, soprattutto narrativamente, con una storia blanda e a tratti inconsistente. Se non fosse che due eventi drammatici – nel senso emotivo e in quello testuale – ci sono. Quasi ad essere cornice di un quadro che dipinge, nel vuoto, i divertissement di questa compagnia di trentenni e quarantenni parigini.

Tra il dramma e la preoccupazione per le condizioni di Ludo e i passatempi in barca. Annaffiati da ottimo vino ed accompagnati da ostriche e buon pesce. Si tratta più di pennellate di situazioni che di una storia in evoluzione. Piccoli quadretti di un puzzle più grande. Quadretti piccoli tanto quanto lo sono le bugie che uniscono gli amici. Piccole non perché siano tali, ma perché vivono sottaciute, sussurrate, nascoste in uno sguardo o in un silenzio. Materiale magmatico che in potenza avrebbe potuto creare tensione drammaturgica e circostanze esplosive. O che, quanto meno, riempisse il vuoto della cornice.

Anche registicamente il tono non aiuta. Lo si potrebbe, forse, attribuire alla volontà di restituire freschezza ai caratteri tutti diversi di questa compagnia di amici. C’è Max, ricco e isterico. Antoine (Laurent Lafitte) depresso perché la fidanzata di sempre sta per sposarsi, ma con un altro. C’è Eric (Gilles Lellouche), belloccio e traditore incallito che perde la sua donna. C’è Vincent (Benoît Magimel), sposato con un figlio che scopre le mille altre sfaccettature dell’amore. E c’è la bellissima Marie (Marion Cotillard), da sempre innamorata di Ludo e che nasconde dietro quello sguardo azzurro e i riccioli indomati una fresca e genuina fragilità.

Per fortuna c’è il vecchio marinaio. Il “saggio del villaggio”. Quello che raccoglie i sentimenti di tutti e se ne fa tesoriere. Senza assumersene la responsabilità. Che li rallegra e li ammonisce. E che, in una folle corsa in macchina, vola per salutare Ludo e salvare la compagnia dai sensi di colpa. Il cerchio si chiude e tutti, più o meno, sono salvi. Tranne lo spettatore. Che vede scivolare sullo schermo un cast di riguardo. Quanto spreco.