…Bollani e Woody Allen sono a rischio swing. Anche se per ragioni molto diverse. Mi spiego: come succede a ogni sacrosanto weekend di uscita di un suo nuovo film, sono corso a vedere To Rome with Love, lultima fatica del molto amato, un tempo, cineasta newyorkese. Woody Allen non si può non vedere, anche dopo che negli ultimi anni ci ha tante volte deluso, dopo troppi filmetti diseguali dove la sua comicità fatta di charme, intelligenza, tempi di scrittura perfetti e nichilismo di radici ebraiche (ma con robuste correzioni di autoironia) si è di molto affievolita. Ma gli dobbiamo tanto bel ridere, sorridere e pensare che gli saremo sempre fedeli, un po come i carabinieri. Però piange, a caldo, il tweet:
Visto Woody Allen romano: sorridente gradevole, con un dolce Benigni. Ma ormai robetta usa e getta. Troppi film. Good night sleep tight
Anche stavolta (come nel film su Barcellona) è scivolato sullennesimo film turistico, dove tutta la sua bella differenza evapora in una voglia di trasformarsi in turista americano daltri tempi, quelli dei più vieti luoghi comuni, della foto al Colosseo, dei torpedoni pieni di pensionati (Woody, non sarebbe ora?), delle camice e dei cappellini improbabili. La sua Roma è davvero una cartolina, e la storiella stessa è da cartolina (neanche sto a raccontarvela), e quello che chiede di fare al suo splendido cast è ugualmente uno stereotipo da cartolina.
Si salvano, dal naufragio dellinutilità (ma chi non farebbe carte false per poter mettere nel suo curriculum una partecipazione a un film di Woody Allen?) Roberto Benigni, che prende talmente sul serio la sua storiella delloscuro impiegato divenuto per un attimo famoso da offrirci una piacevolissima prova dattore, e la prorompente bellezza di Penelope Cruz, prostituta affascinante che illumina di fisicità e allegria ogni sua sequenza. Qualche buona battuta, molti sorrisi, unoretta e mezza di relax senza infamia e senza lode. Ma lo swing di un tempo, tutto fuochi dartificio, ormai è un lontano ricordo.
La faccenda è tutta diversa per quel giovane genio del pianoforte jazz di Stefano Bollani. Ha portato alla Scala, direttore Riccardo Chailly, la traiettoria di questa recente collaborazione discografica, che ci era molto piaciuta col Gershwin diviso a metà col Gewandhaus di Lipsia diretto appunto da Chailly. Alzando il tiro, da bel coraggioso, Bollani si è buttato addirittura sul Concerto in SOL di Ravel con la Filarmonica della Scala. E siamo accorsi ben disposti, anzi entusiasti. L’uomo ci piace perché dotato di grande simpatia, intelligenza, voglia di gioco e bel pianismo. Ma i tweet ci si sono squagliati fra le mani:
– Comincia la seratona Chailly/Bollani al @teatroallascala: le rifrazioni brillanti del Ravel spagnolo di Alborada
– Bollani/Chailly: comincia il Concerto in Sol di Ravel al @teatroallascala. Da B un suono quasi timido
– Adagio assai, concerto in Sol di Ravel: musica del nostro tempo malinconico e quieto, senza più slanci. Bollani sussurra @teatroallascala
– Bollani improvvisa su It’s not for me, Summertime, I Got Rhythm (!) ma il suo suono sottile non è da @teatroallascala
La scoperta, del tutto imprevista, è proprio questa. Dopo tanti anni di carriera mediata da microfoni e altoparlanti, la potenza di suono del raffinatissimo Bollani si è ridotta a un lumicino. Non è cattiveria, è una semplice constatazione tecnica. E se ti prende il dubbio che sia in realtà una scelta stilistica fatta su Ravel (ma allora perché lo stesso suono inesistente nei bis in assolo?) ci pensa uno dei pezzi in programma a fugare ogni dubbio. Chailly esegue la Catfish Row Suite di Gershwin, con un pianoforte in organico ficcato in fondo all’orchestra. E basta l’esecuzione di quella parte fatta dal semplice, bravissimo “addetto” alle tastiere dell’orchestra per mostrare che un pianista classico (anche Bollani lo è stato, negli anni di formazione) ha a disposizione tutt’altra presenza e dinamica di suono. Ha ragione questo mio interlocutore di twitter:
– Lo ricordo con la Verdi, anche lì stesso problema, tecnica jazz non regge orchestra forse ci vorrebbe coraggio di amplificare
Non posso che condividere il giudizio:
– Concordo: Bollani ormai ha bisogno di amplificazione, ha costruito il suo suono così
Così quando nella notte raggiungo il Blue Note di Milano per riascoltare il mitico basso elettrico di Marcus Miller,che fu negli ‘80 da giovanissimo una delle scoperte di Miles Davis, tutto torna al suo posto. Bastano i tweet a dire quanto davvero me la sono goduta:
– Partenza con un tiro funky da manuale! Marcus Miller al Blue Note Milano
– Miller suona, Dio quanto e come suona!
– Bel jazz moderno elettrico quello di Marcus Miller, punteggiatura funky, temi a 2 tromba e contralto, basso pulsante ma dal timbro nascosto