Ultime sorprendenti diagnosi per il dottor House. A partire da stasera, 24 aprile 2012, Canale 5 manderà in onda l’ultima, ottava, stagione della serie tv che ha trasformato il genere medical. In Italia Dr. House ha una storia televisiva particolare, un’ “anomalia “che viene spiegata da Paolo Braga, docente di Tecniche di scrittura della serialità americana e studioso di televisione e cinema. In questa intervista a ilsussidiario.net il professore svela inoltre i segreti del successo di Dr. House MD, di come abbia cambiato il genere “medical” e di come questa evoluzione e il proliferare di nuove serie tv sia iniziato con una serie crime diventata un vero e proprio cult… La televisione, come dimostrano efficacemente le serie tv, è un’industria che si basa su regole di mercato, anche in Italia, paese che commercia prodotti televisivi con Usa, Francia, Spagna: Paolo Braga illustra i meccanismi del mercato delle serie tv e propone una previsione sul futuro della serialità italiana.



Qual è l’originalità di House MD? Si può parlare di “anomalia” italiana per questa serie tv che viene trasmessa dal canale principale di una rete generalista?

Dr House è già stato trasmesso su Canale 5, non è una serie tv estranea alla rete: aveva avuto ottimi ascolti su Italia 1, perché si tratta di un prodotto americano non da rete generalista, ma si rivolge a un pubblico giovane, più smaliziato, abituato a ritmi di racconto più serrati in cui i dialoghi sono molto rapidi, pronto a cogliere sottintesi più sottili, a situazioni più ansiogene, meno consolatorie, (che rilassano e generano ottimismo), come invece si riscontrano nelle serie proposte dalle reti generaliste. Le serie americane sono scritte seguendo una logica che fa perno sull’ansia, su psicologie compresse dei personaggi principali. Dr. House ha iniziato su Italia 1 dove è arrivato al successo, proseguito su Canale 5, dove la serie è stata spostata quando il “fenomeno House” era all’apice; quindi è rientrato nel solco di pubblico strutturalmente più ristretto. Riprogrammato sulla rete ammiraglia non saprei che esito potrebbe avere: non ci sono casi recenti, nella televisione italiana, di serie americane che reggano, in termini di ascolti.  la prima serata sulla rete principale di un’emittente generalista. 



In quali termini DR. House MD ha cambiato il genere “medical”? Ci sono casi analoghi in altri generi?

House è un “detective” vestito da medico. Il riferimento culturale con cui gli autori hanno descritto questo personaggio è Sherlock Holmes: House è una mente scientifica che deve scoprire un colpevole, in questo caso è una malattia, indagando con genio scientifico e arte sillogistica. House è un antieroe, che non significa eroe cattivo, perché nessun eroe può essere teale se vuole funzionare, ma un protagonista con forti ombre, che risultano divertenti quando il sarcasmo del personaggio diventa dissacrante. Il sarcasmo è cifra della comunicazione giovanile: questa è una delle ragioni per cui House funziona bene sul pubblico giovane. La scientificità è entrata prepotentemente nel genere crime con CSI e la medicina scientifica è un filone che in Dr House prende ispirazione da CSI, per crearne una serie medical innovativa. Per fare un esempio, le soggettive impossibili attraverso cui il telespettatore “entra” nel cadavere in CSI sono analoghe a quelle che si trovano in House quando si “entra” nel corpo del paziente alla ricerca della malattia. Sia nel genere crime, che nel genere medical, il telefilm che ha fatto scuola è stato CSI, attraverso la scientificità, il gioco di squadra del team di tecnici, l’uso di strumenti avanzatissimi nell’indagine. Serie come Criminal Minds e The Mentalist hanno rovesciato questo modello: non compaiono gli strumenti sofisticati, ma troviamo la metodologia, l’indagine psicologica e protagonisti che si rivelano cultori della disciplina. L’impronta resta quella del telefilm “procedural”: il racconto ha una componente tecnica molto marcata e gli autori devono conoscere perfettamente la materia.



Parliamo di serialità italiana: perché i nostri prodotti non trovano una collocazione sui mercati stranieri come invece accade per quelli americani, francesi o spagnoli?

In Spagna esiste una scuola che crea prodotti ben tarati su un target prefissato, plasmando idee che siano esportabili all’estero per la medesima tipologia di pubblico. In Italia questo è avvenuto in misura molto minore: le fiction sono create con caratteristiche esclusive per il pubblico italiano, una scelta precisa, su cui ci si sta interrogando, ma attualmente resta tale; le tematiche sono dirette a destinatari attirati dal giallo e soprattutto dalla commedia, culturalmente molto radicata e difficilmente esportabile. La Francia ha sempre dato grande spazio alla serialità americana con ascolti maggiori rispetto a quelli che gli stessi prodotti ottengono in Italia, questo significa che il pubblico francese negli anni si è abituato a racconti più sofisticati, quindi accoglie con favore prodotti simili anche se creati e prodotti in Francia. Il prodotto più sofisticato è quello più esportabile.

Quali sono le principali differenze tra l’industria televisiva americana e quello italiana? Perché prodotti che in Usa hanno successo in Italia non hanno risultati analoghi?  

Il sistema televisivo americano non è così differente rispetto al nostro. In Italia esiste il satellite, il digitale terrestre, la tv generalista, gli Stati Uniti hanno i network e la cable tv, ovvero la televisione via cavo. Semplificando all’estremo, in Italia c’è Sky, in Usa la cable tv. La vera differenza tra Italia e Usa è l’industria televisiva, che in America ha una tradizione differente, superiore e che può contare su un mercato decisamente vasto rispetto a quella italiana. In America, pur non essendo semplice, vengono creati telefilm venduti poi a emittenti come NBC o CBS per esempio, su un mercato che ha più di cento milioni di telespettatori. Alla prima vendita non viene recuperato l’intero investimento, ma ci sono ulteriori passaggi e il guadagno aumenta perché il mercato è decisamente vasto; a questo va ad aggiungersi il mercato internazionale, in cui i prodotti Usa vengono facilmente collocati. In America guadagnano molti dai prodotti di successo, perciò possono permettersi di rischiare, sperimentando con prodotti più sofisticati. E’ il cosiddetto “effetto palla di neve”. In questo meccanismo gioca inoltre un ruolo fondamentale l’enorme diffusione della lingua inglese, per la fiction italiana questo discorso non è fattibile. Certi telefilm americani tendono ad essere targettizzati: CSI, House MD, Soprano’s, non vengono realizzati in Usa per un tipo di pubblico equivalente a quello che può essere il pubblico di Rai Uno in Italia, ma sono destinati a un target che per composizione potrebbe essere equivalente a quello di Rai Due o Italia 1: giovane e colto. Chiaramente negli Stati Uniti questo target è relativamente ristretto in termini numerici, per cui l’investimento è comunque ragionevole e giustificato, mentre in Italia i “numeri” rendono rischioso l’investimento nella creazione una serie destinata ai giovani, quindi conviene acquistarla dai mercati stranieri. Perché un investimento nella fiction italiana abbia successo, anche economicamente, occorre un risultato di almeno cinque milioni di persone, ma è difficile raggiungerlo con serie tv targettizzate.

Quale futuro per i prodotti seriali in Italia?

Sul lungo periodo l’evoluzione mi sembra segnata: l’Italia si avvicinerà, seppur lentamente, perché ci sono una diversa professionalità e una diversa scuola di scrittura, verso il prodotto americano, fatte salve le differenze culturali. Questo perché c’è un avvicendamento generale nel pubblico e i gusti delle nuove generazioni si sono formati sulla base delle serie tv americane. Sono già stati fatti alcuni esperimenti per ibridare e ringiovanire la fiction italiana, come Tutti pazzi per amore. Tentativi di rinnovare in una cornice che per ora resta ancorata al modello consolatorio: nel breve periodo, infatti, aumenteranno gli esperimenti di innovazione dentro il modello tradizionale della fiction italiana, cercando di non perdere pubblico.     

 

(Camilla Schiantarelli)