dobbiamo piantarla con gli schemi precostituiti. Stasera tornano Fazio e Saviano in prima serata su La7 con Quello che (non) ho e tutti si sono già preparati una parte. Da una parte i fucilatori a prescindere, dallaltra gli esaltatori a prescindere, in mezzo il demi monde ipocrita di chi non prende partito per non compromettersi troppo. Io sono qui a curiosare a Torino dietro le quinte del programma – le tre prime serate, lunedì/martedì/mercoledì, saranno emesse in diretta dalle Officine Grandi Riparazioni, una cattedrale dellarcheologia industriale dove la Fiat riparava le locomotive, oggi spazio per mostre -, come mi accade sempre quando sento odore di televisione un po diversa. E poi la gente che ci lavora, dagli stessi Fazio e Saviano agli autori come Serra, Galeotti e Piccolo, al regista Duccio Forzano, al direttore di rete Paolo Ruffini e quello del marketing Lillo Tombolini, sono gente che stimo e apprezzo, proprio per azzardi come questi che li fa rimettere in gioco.
Stasera si vedrà innanzitutto della bella televisione. E laggettivo si riferisce innanzitutto allimpatto visivo sul piccolo schermo di questo immenso luogo fatto di ferro e mattoni, definito televisivamente da Francesca Montinaro e illuminato fantasticamente da Daniele Savi. Una televisione che costa (bordate dei fucilatori), una televisione di parola (bordate dei fucilatori), una televisione autenticamente di servizio pubblico, che attrae tutta lintellighenzia italiana come una sorta di oasi di libertà (cannonate dei fucilatori: caro Giuliano Ferrara, i difetti di Saviano, che ci sono, sono frutto proprio dei vostri insensati e reiterati calci nei denti, che lhanno gettato nelle braccia di un orizzonte ideologico/commerciale cui continua a non appartenere, ma che è lunico che gli si è mostrato amico. Come si fa a non capire che la dinamica dellappartenenza nasce innanzitutto da una cordialità di accoglienza e non da simpatie ideologiche?). Una televisione che dovevamo fare noi della Rai, che ha regalato alla concorrenza privata il più grande successo della scorsa stagione allazienda (4 serate milionarie superate solo dalla Formula 1) che per pura antipatia ideologica è finito nel cestino. Qualcuno prima o poi ne dovrà rendere conto, in una stagione così difficile per il servizio pubblico.
Una serata di parola, dicevo, dove non tutte le parole sono le tue, ma tutte hanno una faccia e si prendono una responsabilità. Ricordo lanno scorso di aver litigato coi miei vecchi amici e colleghi di Avvenire per alcune di esse: certamente non condivisibili ma non per questo censurabili. E vedrete che anche stavolta qualcuno non si sentirà rappresentato.
Ma non è questo, maledizione, che dobbiamo chiedere ai tentativi importanti di fare nuova/buona tv. Io qui a Torino vedo una banda di amici appassionati e smaniosi di far bene, vedo un rigore e una creatività intelligenti, coraggiose e insieme prudenti: gente che vuole parlare alla gente, che vuol dire le cose che considera importanti, professionisti che occorre sfidare sul loro piano, non tirandosene sempre fuori in nome di una “offesa” diversità.
Spesso non condivido certi loro dubbi, certi cedimenti alla cultura dominante, certa mancanza di problematicità nell’affrontare temi delicati e sensibili. Ma tifo per loro. Tifo per la loro avventura piena di rigore formale, per la loro voglia di rischiare con lunghi monologhi, inediti accostamenti musicali, momenti di danza creativa e alta, battute leggere, testimonianze dolorose. Guardateli, da stasera, ma lasciate a casa i pregiudizi. Pesate le loro parole, non fatele fuori frettolosamente.
Sono convinto che il rinnovamento della tv parta da qui, che il superamento della talkshow mania possa venire dalla faccia stralunata, dalla palla rotonda del cranio di Roberto Saviano che Duccio Forzano si ostina a voler tagliata, in alto, dai suoi cameramen.