Quello che (non) ho, seconda puntata, monologo di Roberto Saviano (video) La seconda puntata di Quello che (non) ho è andata in onda ieri sera, aperta come di consueto dal nuovo monologo di Roberto Saviano. Lo scrittore parla della lettera di Elio Germano letta poco prima: si tratta di una conversazione intrattenuta tra un boss della camorra e un affiliato. Il conduttore indugia sul concetto di “zio”, utilizzata in luogo di “boss” nel clan dei Casalesi: “Tale artificio non è fatto tanto per nascondere il termine, quanto per non lasciare prove di un linguaggio tracciabile”, spiega. Nella lettera di Elio, a un certo punto, chi si rivolge al boss utilizza una frase che recita: “I ragazzi vanno a casa con la conserva fatta in casa”. Come spiega Saviano, si parla di ragazzi che saranno detenuti in un reparto dove la gente sa già di quale clan fanno parte. Poi ancora, le parole “ti salutano tanto”, per spiegare che non ci sarà nessun pentimento. Un’altra frase poi parla di “copioni”, e recita: “Andrà tutto bene, mi ha assicurato che nelle prossime prove il copione sarà quello giusto. Certi copioni sbagliati andranno nei cassetti”. E’ chiaro il riferimento a un politico e ad una persona strategica che sta al posto giusto, e che farà esattamente quello che gli si dice. Nel seguito, Saviano parla di “memoria storica” delle organizzazioni, che a suo dire non perdonano: “I loro ricordi sono ben più lunghi di quelli delle legislature, e trasversali”. A metà trasmissione allude invece ai paesi arabi, nel quale un venditore si è dato fuoco per denunciare le continue richieste di pizzo che gli venivano fatte per permettergli di commerciare i suoi prodotti. Grazie a Facebook, spiega Saviano, quanto accaduto fece prima il giro della Tunisia e poi del mondo, mettendo in comune anche vari punti di vista di mondi differenti. E per rendere l’idea di quale potenza abbia il social network nella nostra società, Saviano spiega come proprio Mubarak dichiarò che le parole lo stessero uccidendo: “La differenza tra ieri ed oggi sono i mezzi con cui la parola viaggia, ma la sostanza non cambia. Tutte le rivoluzioni sono state possibili laddove la parola ha girato. E la condivisione, altro mezzo importante, ha messo a disposizione strumenti che hanno fatto rivivere ai paesi arabi una nuova primavera”. Tutto il monologo di Saviano è un cappello introduttivo alla poesia di una ragazza nata in Tunisia, che parla di come quel 14 gennaio appena passato, nella loro terra, abbia segnato l’inizio di una rivoluzione che va sostenuta: quella che ha portato alle elezioni dopo una estenuante dittatura. Il terzo intervento è invece contornato dalla canzone di un album “Pensieri di un latitante”: è il preludio per parlare di un “genio aristocratico” della n’drangheta, Salvatore Figliuzzi. La sua determinazione lo ha spinto a sposare la figlia di un boss, Maria Concetta. Per Saviano, parlare di Maria Concetta è l’occasione per spiegare le “regole” alle quali anche le donne erano sottoposte: la reclusione in contemporanea con quella dei mariti che erano in carcere. Ed è proprio in una delle sue reclusioni che Maria Concetta incontra un uomo via chat, e comincia a stabilire con lui una relazione. Ma la famiglia, in particolare il padre, gli impedisce ogni contatto con l’uomo, picchiandola selvaggiamente e rompendogli addirittura una costola. A questo punto, Maria Concetta, non facendocela più, entra in una caserma e inizia a raccontare tutto. Ma, come spiega Saviano, le cose non sono facili: “La donna si rese conto che non poteva portare i bambini con sé, visto che i Carabinieri la inserirono nel programma di protezione per i familiari dei mafiosi. E cosi provò a contattare la famiglia”. Ma Saviano racconta come loro facessero proprio leva su quella distanza: “La chiamavano facendogli sentire il pianto dei bambini, fino a che lei non crollò. E suo padre facendogli credere che l’avrebbe perdonata, riuscì a farla tornare a casa. Ma è solo una scusa per farle registrare e ritrattare tutte le confessioni fatte alla giustizia”. Quindi, compreso tutto, i Carabinieri convincono la donna a organizzare una fuga. Ma come racconta Saviano, tormentata dalla paura che per lei si facciano male altre persone, Maria Concetta rimanda sempre il piano. E nella conclusione della sua storia, lei berrà dell’acido, morendo dopo 48 ore di agonia. Ma la cosa più triste della storia, è il fatto che la sua famiglia, oltre ad averla istigata a un lento suicidio, dà la colpa di questo alla giustizia. Saviano indugia proprio su questa parola nel suo ultimo monologo: “acido”, definito il veleno casalingo, che nel sud ha ucciso molte donne vicine ai boss. E allargando il discorso, racconta di come questo elemento fosse utilizzato per “sedare” coloro che rompevano il patto di stabilità. 



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