L’Olimpiade nascosta è la fiction che stasera, 27 maggio 2012, andrà in onda su Rai Uno con la prima puntata. La miniserie, che si ispira a una vicenda realmente accaduta in un campo di lavoro e in un lager durante la Seconda Guerra Mondiale, viene proposta con l’avvicinarsi delle Olimpadi di Londra 2012. A regalarci un’anteprima della fiction diretta da Alfredo Peyretti è Andrea Bosca, che interpreta un giovane medico prigioniero. L’attore, in questa intervista a ilsussidiario.net in cui presenta la miniserie e il suo personaggio, racconta l’incredibile esperienza sul set: il lavoro di produzione si è svolto in un autentico campo di sterminio e per gli attori è stato impossibile non sentire il peso di ciò che lì era accaduto nei terribili anni delle deportazioni compiute dai Nazisti. Ma scoprirete leggendo che, come accaduto nel lontano 1944, anche durante le riprese de L’Olimpiade nascosta, lo sport ha lanciato un potente messaggio di speranza…



Ci regala qualche anticipazione sulla fiction che stasera esordisce su Rai Uno?

La fiction si ispira a un fatto realmente accaduto: nel 1944, in un campo di lavoro polacco, un nutrito gruppo di italiani è prigioniero dei tedeschi. Sono vessati dal capo del campo, che vuole distruggerli e privarli della loro umanità, trasformandoli in “bestie”. Per salvare tutti da questa situazione invivibile e far superare ai prigionieri l’astio reciproco e la forte divisione tra uomini di diverse nazionalità creata dalle durissime condizioni di vita in cui cercano di sopravvivere, Alex, ufficiale inglese prigioniero, e Vittorio Mancini, medico italiano che interpreto, decidono di organizzare un’olimpiade a cui devono prendere parte tutti i reclusi nel campo, di nascosto dai tedeschi. Un’impresa non semplice perchè, come scoprirete, ci sono personaggi che pensano di poter sopravvivere da soli, senza collaborare con coloro che condividono le stesse condizioni. Per questi prigionieri organizzare un’olimpiade nascosta rappresenta il rischio della vita. Nella seconda parte della fiction l’iniziativa delle gare sportive riguarderà anche il campo di concentramento vero e proprio, perchè da’un incursione del mio personaggio, Vittorio, che entrerà nel lager per curare un malato, si scopre che nel campo di sterminio ci sono prigionieri che vivono in condizioni peggiori rispetto a quelle nei campi di lavoro.



Conosciamo meglio il suo personaggio, Vittorio Mancini…

E’ un medico, un giovane che si trova in mezzo a “tagliagole”, superuomini dal fisico possente che lo picchiano. I tedeschi potrebbero annientarlo in un istante fucilandolo. Vittorio “si spezza, ma non si piega” alle logiche atroci del campo di lavoro e poi del lager, ma comprende che da solo non riuscirà a sopravvivere; siccome è uno dei pochi prigionieri colto e istruito, trova il modo di convincere gli altri detenuti a fraternizzare e sostenersi a vicenda. E’ Vittorio Mancini il personaggio che crea il gruppo che darà poi vita all’olimpiade nascosta. Sono felicissimo di aver interpretato questa figura di uomo forte che di fronte allo sgomento nel vedere come venivano trattati gli ebrei nei lager, reagisce e fa di tutto per aiutarli. Vittorio, come anche Kasia e Mario, sono personaggi ispirati a persone realmente esistite.



Come si è preparato professionalmente per interpretare Vittorio?

Ho dato umanità e forza al mio personaggio grazie alla lettura di “Se questo è un uomo” e degli altri libri di Primo Levi, ho letto i Diari di Giovanni Guareschi, testi in cui i nostri nonni o persone a noi vicine hanno lasciato testimonianze di ciò che è accaduto in quegli anni in quei luoghi infernali e i diari di coloro che hanno vissuto in prima persona l’esperienza del lager. Mi sono sentito molto coinvolto in questa storia e ho perso tanti chili per interpretare con la massima credibilità Vittorio, cercando di immedesimarmi in quella drammatica e difficile situazione, per intuire cosa poteva essere accaduto. Ho inoltre parlato a lungo con medici che mi spiegassero che cosa effettivamente era possibile fare per un dottore in una situazione così estrema in cui i medici non avevano a disposizione né farmaci, né strumenti per soccorrere e curare i prigionieri.

Leggi le anticipazioni dell’ultima puntata

Umanamente cosa le ha dato lavorare in una fiction che racconta una della “pagine” più atroci della storia del Novecento?  

Abbiamo girato tanto in quello che all’epoca è stato un campo di concentramento e se non ci fosse stato il gruppo di tutti coloro che hanno lavorato non avremmo portato a termine questo prodotto e forse ci sarebbe rimasta dentro la tristezza e il senso di atrocità di quel luogo. Abbiamo vissuto in quel campo tutti i giorni ed è stato inevitabile pensare alla vita dei prigionieri lì dentro. Il gruppo, esattamente come vedrete accadere nella fiction, ci ha “salvato”. Ci sono state persone che avevano problemi di sonno perchè abbiamo lavorato in luoghi teatro di fatti così drammatici a cui era impossibile non pensare.

A proposito di “gruppo”, com’è stato il rapporto con gli altri attori del cast?

Ho avuto la fortuna di lavorare con un grande cast internazionale, ho infatti recitato in presa diretta in inglese, dove sono nati splendidi rapporti. Oltre all’amicizia con Alessandro Roja, che già conoscevo, è nata un’inaspettata e fortissima amicizia con Gary Lewis, che interpreta Alex. E’ nato un rapporto vero con un uomo autentico che guarda in faccia e punta alla verità. Ma è stato straordinario lavorare con tutto il gruppo. Durante le riprese ci sono stati momenti anche tristi e difficili, ma ci siamo messi addirittura a giocare a calcio per stare insieme e aiutarci a vicenda.

Ci racconta qualche fatto che l’ha colpita o che ricorda come significativo durante il periodo delle riprese?

Abbiamo vissuto mesi pesanti e freddi nel campo di lavoro a Terezin in Repubblica Ceca, a cavallo tra l’estate e ottobre, quando in quei territori le temperature sono già rigide, ed è successo davvero di tutto… Ho un bellissimo ricordo della colazioni che facevamo tutti insieme al mattino, al freddo, discutendo i vari aspetti delle scene da girare prima di iniziare il lavoro della giornata. Le scene delle Olimpiade sono state incredibili, le abbiamo realizzate in pochissimo tempo facendo tifo e incitamento come se si trattasse di competizioni vere: la scena della staffetta l’abbiamo ripetuta numerose volte e c’è stato autentico tifo sportivo in tutte le lingue.

La fiction è in onda in vista delle Olimpiadi di Londra 2012. Dopo aver interpretato un’edizione così “unica” dei Giochi, si lascerà appassionare da quelli che verranno?

Sono come il mio personaggio Vittorio, seguo e amo lo sport, mi piace molto l’atletica e non vedo l’ora di vedere i 100 metri, che abbiamo fatto anche noi nella fiction… Seguirò molto volentieri le Olimpiadi di Londra e nei momenti in cui dovrò lavorare recupererò le gare sul web… Lo sport è davvero motore di unione tra popoli e le Olimpiadi rappresentano molto bene questo: ai tempi dell’antica Grecia addirittura le guerre venivano interrotte per permettere lo svolgimento dei Giochi Olimpici…

Perchè L’Olimpiade nascosta merita di essere vista dai telespettatori?  

Perchè racconta in modo molto forte, emozionante e coraggioso la grande forza di un gruppo di uomini che, pur nella condizione di una prigionia spietata, che li ha portati a una crisi profonda, sono riusciti a sopravvivere grazie all’amicizia e alla fratellanza nata dall’occasione di praticare sport, i giochi olimpici. E’ uno splendido e potente messaggio di speranza e di amore autentico. Se non ci fosse stata questa “olimpiade nascosta” a tener vivi i prigionieri, a sostenersi a vicenda, sarebbero morti tutti. Ed è gioioso, come vedrete nella fiction, questo modo di “farcela”.

E’ un giovane attore, con significative esperienze nel mondo della fiction, del cinema e del teatro. Si sente fiducioso per quanto riguarda il suo futuro professionale in questo momento di crisi diffusa a tutti i settori?

Devo ammettere che mi sento nervoso, perchè vedo che ci sono grosse difficoltà e i giovani sono penalizzati. Credo allo stesso tempo che occorra essere positivi, convinti, cercare di trovare le persone valide con cui lavorare alimentando questo proposito e portando il proprio meglio in un momento in cui ci sono problemi. Per adesso non penso di lasciare l’Italia per lavoro, ma anzi, cerco di fare tutto il possibile per lavorare nel mio Paese, di collaborare con professionisti italiani che stimo moltissimo e che hanno progetti di grande qualità, che non si è affatto esaurita.

Dove la rivedremo prossimamente? Cinema, tv, teatro…

Dal 12 al 17 giugno sarò a Roma, nello spettacolo teatrale Jakob Von Gunten, al Teatro India e poi valuterò cosa fare quest’estate, forse un progetto legato ancora allo sport, ma per il momento intendo concentrarmi sul teatro.

 

(Camilla Schiantarelli)