La notizia ha fatto il giro del mondo, ma la stampa italiana non le ha tributato il suo giusto valore. Vero è che ciò che non sembrava immaginabile soltanto fino a qualche mese fa, ora è un dato di fatto: stiamo parlando del rinvenimento, avvenuto lo scorso mese di febbraio, del progetto CernUsco. Di cosa si tratta? Presto detto: da molti anni, sotto il Naviglio Martesana, alle porte di Milano, è in attività un acceleratore di particelle, ribattezzato CernUsco, appunto, che si può considerare, a tutti gli effetti, il fratello gemello del Cern, il più grande laboratorio al mondo di fisica quantistica. Lunica novità, per certi versi sconvolgente, quantomeno per i non addetti ai lavori, arriva dal tipo di alimentazione impiegata dallacceleratore di particelle: abbandonati tutti i prodotti tradizionalmente usati, poiché troppo costosi, si è optato, come alternativa, per il Lambrusco Doc di Sorbara; nonostante la qualità sopraffina di questo vino, conosciuto e apprezzato in tutto il mondo, il Lambrusco è risultato di gran lunga più conveniente, sia in termini di spesa, che per le sue proprietà organolettiche. Lungo i 27 chilometri che coprono la lunghezza del CernUsco, le particelle di quanti vengono eccitate allinterno di un super-acceleratore, chiuso alla sua sommità da un gigantesco turacciolo in sughero con gabbia metallica in acciaio inox 18/10, chiamato buscione di Higgs (Higgs Cork), che impedisce alle particelle stesse di fuoriuscire e disperdersi allesterno.

Recentemente si è avuta notizia di un guasto, che avrebbe fatto saltare il super-tappo, cosicché i quanti, lanciati allesterno a velocità della luce, avrebbero raggiunto uno stato di ebbrezza mai riscontrato in natura, perdendo ogni controllo e scontrandosi tra loro in continuazione. Gli scienziati del CernUsco, studiandone il comportamento, hanno così potuto – del tutto fortuitamente arrivare a una scoperta scientifica in grado di cambiare le leggi e il futuro della meccanica quantistica; dal momento che il comportamento dei quanti ricorderebbe molto da vicino quello degli operai addetti alle grandi catene di montaggio, gli scienziati hanno introdotto il termine di metalmeccanica quantistica, utile a definire questa nuova teoria della fisica che descrive il comportamento dei quanti, così come è stato possibile osservarli in questo stato. In tali condizioni, infatti, lequilibrio vorticoso di queste straordinarie particelle può produrre un particolare elettrone molto instabile, denominato capezzone, un radicale libero conosciuto da tempo, con il quale i quanti entrano immediatamente in conflitto. Sembra anzi che i quanti, a contatto ravvicinato con il capezzone, accrescano prepotentemente la loro massa e mostrino da subito una maggiore aggressività, tanto che gli scienziati hanno coniato, per queste straordinarie particelle, il termine di quantoni da boxe.

Il padre della (finora sconosciuta) “metalmeccanica quantistica” è italianissimo, ed è stato, fino a qualche anno fa, a capo del progetto CernUsco. Si tratta del professor Quantony Renis (1938 – vivente). E’ il più noto e accreditato “quantante” (studioso di quanti) del mondo. Come si legge nel suo ancora attualissimo trattato “Dimmi quanto tu verrai: dimmi quanto quanto quanto” (Topo Gigio Editore,1967), dedicato all’analisi delle tante proprietà dei quanti (molti tra noi si chiederanno, infatti: “Ma quante proprietà hanno i quanti? Hanno proprietà un po’ dappertutto, qua e là nel mondo” risponderebbe il nostro esimio professore), i quanti devono il proprio nome a un singolare episodio avvenuto qualche anno addietro. Un allora giovane ricercatore di origine pugliese, tal Nicola Tarantino (1943 – vivente, oggi conosciuto da tutta la comunità scientifica mondiale col nome di Quantin Tarantino, per via della profonda attitudine alla materia in questione), dopo aver bombardato un atomo a colpi di raggi UVA (del tipo Primitivo di Manduria) per ben tre giorni di fila, lo ha successivamente sottoposto alla prova del palloncino, il cui test ha dato naturalmente esito positivo. Lo studio delle particelle, ridotte in questo stato singolarissimo e mai osservato prima, ha generato un algoritmo, traducibile in una forma, seppur primitiva, di linguaggio. Le particelle sub-atomiche hanno così descritto, in maniera quasi del tutto inconscia, i segreti della fisica e della metalmeccanica quantistica. Il dialogo molto serrato che segue, è la fedele traduzione di quanto il quanto (scusate il gioco di parole…) mostri la sua natura semplice ma al contempo assai complessa.

 

Scienziato: “Quanti siete?”

 

Il Quanto (ha preferito restare anonimo): “Quanti siamo!”

 

“Sì, ma quanti?”

 

“Quanti!”

 

“Siete tanti?”

 

“Tanti quanti!”

 

“In tutto quanti?”

 

“Tutti quanti!”.

 

E poi daccapo: – “Quanti siete?”

 

“Quanti siamo!”

….. e così via per due giorni di fila, finché il professor Quantony Renis, incuriosito da quella fitta interlocuzione, ha chiesto lumi: “Cosa succede?”. Quantin Tarantino: “Ho trovato tanti…” (i puntini di sospensione stanno a indicare che nemmeno lui sapeva indicare esattamente cosa avesse trovato). Quantony: “Quanti?”. E Quantin: “Ecco, appunto: tanti quanti!”. Così è nato il nome che identifica queste particelle.

 

Quanto invece ai “quantoni da boxe”, è possibile affermare con certezza che godono di una vita molto varia e interessante. Intanto sono facilmente eccitabili. Per esempio, in un episodio dei “Racconti di Quanterbury” (Casa Editrice Tiramolla, 1972) uno dei numerosi diari nei quali, in rigoroso ordine cronologico, vengono descritte le prime e rudimentali ricerche condotte sulle nuove particelle dal professor Renis, si osserva che, praticando un tipo di approccio definito col nome di “tecnica della mano morta”, se i “quantoni da boxe” entrano in contatto con un particolare elettrone – è il trans-elettrone di forma sinuosa, meglio se con i tacchi a spillo, la minigonna e i capelli cotonati, cosiddetto “gnoccolone di Quant” (in onore di Mary Quant, storica inventrice della minigonna) – tendono, con movimenti significativi e molto spinti, che nulla invero lasciano all’immaginazione, a legarsi in un rapporto simbiotico, che può durare dai sette minuti fino alle due ore (anche se, va ricordato, i quantoni da boxe tendono a non accoppiarsi mai con lo stesso gnoccolone per più di tre volte).

 

I “quantoni da boxe”, in genere, assumono comportamenti diversi, a seconda dell’ambiente e dell’altitudine a cui si trovano. Un esperimento condotto in Australia da una compagnia aerea specializzata in questo tipo di studi, la Qantas, ha mostrato che queste particelle, una volta portate a 10mila metri d’altezza, diventano fotosensibili (cioè risultano più fotogeniche se bombardate con i raggi X, quelli delle nostre lastre, per intenderci), e thermos-resistenti (immersi all’interno di un particolare tipo di recipiente termico, contenente un liquido bollente di colore scuro, non subiscono modificazioni fisiche di alcun tipo). Sistemati invece ad altezza d’uomo, diciamo a un metro da terra circa, i “quantoni da boxe” reagiscono in maniera del tutto differente. In un altro capitolo del suo libro, il professor Renis descrive la reazione dei quanti, posti in una tasca dei suoi pantaloni, all’interno di un flacone ermetico in vetro. Al convegno “Fisica: educazione alla scienza o allo sport?” (Roma, 1977), Renis incrociò Margherita Hack (1922 – vivente). Non correndo buon sangue tra i due sin dai tempi dell’università, presero a litigare furiosamente durante un affollatissimo seminario. Fu a quel punto che i quantoni, facilmente eccitabili, cominciarono a girare vorticosamente all’interno del contenitore situato nelle sue tasche, provocando quello che in psicologia viene definito come “Testiculorum Sovraexcitatio”. Il professor Renis, da scienziato, classificò il fenomeno con l’acronimo inglese “HMRMB” (“How Much Ring My Balls”), meglio conosciuto in italiano con l’espressione: “Quanto mi girano le balle!”.

 

Tornando alla notizia legata alla fuoriuscita dall’acceleratore di quantoni iper-eccitati, secondo i rumors provenienti dall’interno del CernUsco, sembrerebbe già iniziata l’operazione di recupero, molto rischiosa e delicata. A questo proposito sarebbero all’opera i cosiddetti “aqquantatori”. Chi sono? Reparti speciali di fisici (cioè scienziati palestrati) che – una volta “acciuffati” i quantoni da boxe in libertà – dovranno poi provvedere a sistemarli in una struttura di massima sicurezza, dove verranno messi in condizione di non nuocere più: è la cosiddetta “prigione di Quantanamo Bay”.