The Beatles, un fenomeno destinato a non scomparire. Sono passati cinquantanni dalluscita del primo singolo (Love Me Do) e uno dei maestri del cinema mondiale, Martin Scorsese, dirige un documentario in omaggio a George Harrison, uno dei componenti del celebre gruppo pop britannico. George Harrison: Living in the Material World ripercorre la storia di un personaggio singolare, a disagio sotto i riflettori e oscurato dai nomi di Paul McCartney e John Lennon, eppure fondamentale per il successo della band di Liverpool.
Attento a evitare il rischio della celebrazione acritica, il regista si mantiene fedele al materiale di repertorio, narrando la storia del musicista senza sbilanciarsi in un giudizio positivo o negativo, ma con lunico intento di regalare ai fan un ritratto fedele e inedito di Harrison (e dei Beatles). Martin Scorsese è un esperto di biopic (pensiamo a Shine), ma stavolta ha preferito abbandonare il racconto romanzato per concentrarsi sulla cronistoria, raccogliendo testimonianze, interviste, fotografie, video e brani inediti che costituiscono la bellissima colonna sonora del film. La narrazione è condotta in modo elegante, lasciando soprattutto alle immagini e alla musica il compito di colpire lo spettatore, di trasmettergli unemozione.
Il fil rouge è levoluzione del protagonista da timido adolescente con la passione per la chitarra ad artista adulto ed eclettico, diviso tra il mondo materiale degli agi derivati dal successo e la ricerca spirituale che lo portò ad avvicinarsi alle culture orientali. Allo spettatore è data lopportunità di conoscere il musicista attraverso le parole di chi gli stava accanto, dai familiari agli amici, svelandone i lati meno conosciuti e senza tacere lesperienza con le droghe e i momenti meno felici della sua carriera. Scopriamo così come il giovanissimo George riuscì a superare il provino per entrare nei Beatles, seguiamo i primi tour e i concerti, il successo, il rapporto con i colleghi, fino allo scioglimento del gruppo.
La seconda parte, invece, si concentra sul suo percorso individuale, mettendo in luce i pregi e i difetti, le aspirazioni e le cadute delluomo dietro le quinte. Ampio spazio è concesso allavvicinamento alla cultura indiana, nella quale Harrison cercava una spiritualità che gli mancava in patria e nuovi stimoli per la composizione dei suoi brani. Interessante è la collaborazione con Ravi Shankar, maestro di sitar e sostenitore dellessenza divina della musica, con il quale George Harrison organizzò il famoso concerto per il Bangladesh.
Il tema centrale del documentario si identifica nell’appartenenza a due mondi, che rispecchiano due stili, due sistemi di valori e anche due diverse concezioni della musica. Emerge dalle interviste e dalle immagini la contraddizione insita nel successo, l’iniziale esaltazione per un tipo di vita apparentemente desiderabile (hotel di lusso, auto, persone a disposizione, incontri interessanti e attenzione costante da parte del pubblico) e la successiva inquietudine, quando il denaro e la fama diventano una trappola che rischia di soffocare le vere esigenze dell’individuo.
Non si prende posizione su quale sia la “giusta via”, non si dà un giudizio sulle scelte individuali; in fondo, si racconta la storia di un uomo che, come tutti, ha vissuto le contraddizioni del mondo e ha esplorato diverse strade senza pregiudizi o timori, ansioso di trovare un contatto con gli altri e con se stesso, mosso da un’inquietudine che, forse, appartiene per definizione all’artista.
La musica diventa allora un mezzo per creare qualcosa di bello, per immortalare una ricerca, una sensazione o un’esperienza che hanno contribuito a tracciare il percorso tortuoso, ma intenso ed emozionante, della vita.