I supereroi sono l’Olimpo contemporaneo, esseri dai poteri superiori e dai mille intrecci personali che scendono sui mortali per aiutarli. Alcuni come Superman sono propriamente degli dei (l’origine e il simbolismo sono esplicitamente cristologici), altri invece sono ragazzini che scelgono di fare il bene. Per festeggiare il 50 anniversario dalla nascita del fumetto di Stan Lee e Steve Ditko, Marc Webb dirige The Amazing Spider-man, un nuovo adattamento del personaggio – un reboot si chiama, ripartenza – a pochi anni di distanza da quello di Sam Raimi; e proprio come nei miti dell’Olimpo, le versioni, le sfumature si mischiano di continuo.

La storia è quella già raccontata molte volte: Peter Parker è uno studente che durante una visita a un laboratorio è morso da un insetto geneticamente modificato che gli trasmette le caratteristiche del ragno. Dopo la morte dello zio, userà i suoi poteri per portare giustizia e sicurezza: nella versione di James Vanderbilt, Alvin Sargent e Steve Kloves cambiano il cattivo, il dottor Connors alias Lizard, e la fiamma di Peter, Gwen Stacey.

Il resto è un tipico kolossal supereroico, ricco d’azione ed effetti speciali che però stavolta non può fare a meno della lezione del Batman di Nolan. Infatti, il tono con cui ci si approccia al personaggio è più serio – mai serioso visto il personaggio – e si riflette sui limiti di legge e giustizia, sul concetto di eroe e sui simboli collettivi legati a questo tipo di idee; ovviamente le altezze e la profondità della versione di Nolan sono lontane e Webb si limita ad affiancarsi al tema, a costeggiarne le allegorie, anche perché il rivale non è all’altezza del Joker di Ledger.

Più che altro, il regista si diverte a giocare coi vari tipi di mitologia (appunto, come dicevamo sopra) legata a Spiderman di cui sembra privilegiare la versione Ultimate, rimescolando elementi noti del personaggio con le leggende metropolitane (i coccodrilli nelle fogne) e i cliché sulla città di New York (l’emozionante scena coi manovratori che richiama la solidarietà newyorkese del primo film di Raimi).

chiaro che il confronto con i film di Raimi s’impone allo spettatore e la differenza tra i due film è quella che passa tra un professionista con personalità (Webb) e un regista di talento (Raimi); ma proprio perché non è un qualunque shooter, Webb sa come superare l’impasse di una prima parte sempre uguale con un bel gusto per l’azione volante – le ragnatele sono incredibilmente cinegeniche -, un gran cameo di Stan Lee, l’ottimo lavoro di James Horner in colonna sonora, e soprattutto un cast perfetto.

Oltre a comprimari di lusso come Sally Field e Martin Sheen e a un cattivo mal sfruttato come Rhys Ifans, sono i protagonisti a brillare: Andrew Garfield incarna il Parker scafato adatto agli anni ’10 ed Emma Stone è di quelle donne di cui ci s’innamora dopo il secondo sguardo. Quando nel finale Peter tradisce una promessa castrante pur di non perdere l’amore, si esce dalla sala col sorriso ebete del ragazzino al primo appuntamento. Ed è una sensazione impagabile.