Più importante delle notizie di Borsa, almeno per Enrico Mentana. Il direttore del telegiornale de La7 mercoledì 4 all’ora di cena ha sacrificato le prime per annunciare che sì, questa volta è proprio vero: Michele Santoro ha firmato con la rete di proprietà Telecom. “Servizio pubblico”, il suo programma, entra nel palinsesto de La7, alternandosi a “Piazzapulita”, il talk show politico del pupillo di Santoro, Corrado Formigli, che nella scorsa stagione televisiva ha ottenuto buoni riscontri di pubblico, aggiudicandosi share di tutto rispetto, soprattutto, se confrontati con la media di ascolti del canale. Quella fra la rete e l’ex giornalista Rai è stata una trattativa lunghissima che è durata più di un anno e si è conclusa con un nulla di fatto già nel giugno dell’anno scorso. Il mancato accordo, si disse, non fu per una questione puramente economica ma per la concessione di alcune “libertà editoriali” pretese da Santoro. Il resto è storia: le trattative naufragate con la Rai e con Sky e la creazione della trasmissione “Servizio pubblico”, trasmessa dall’autunno scorso su una piattaforma che comprendeva diverse tv private in Italia: una modalità totalmente innovativa per la tv italiana, abituata al monopolio delle reti generaliste. «In questo Paese si è abituati a vedere il conduttore di talk show come una specie di gladiatore. Ma di fatto, non lo è. Nemmeno Santoro che, da buon uomo di televisione, è sempre alla ricerca di nuovi linguaggi e che vuole dialogare e farsi ascoltare dal pubblico», spiega a ilSussidiario.net Massimo Bernardini, conduttore del programma Rai “Tv Talk” ed esperto di linguaggi televisivi.
È questa la ragione che ha spinto Santoro a firmare con La7?
Il ragionamento di Santoro è chiaro: dopo aver creato una società propria con la liquidazione ottenuta dalla Rai, aver formato una società con Parenzo, proprietario di alcune reti locali come Telelombardia ed Antenna 3, ed essere molto presente sul web, ha capito ciò che gli mancava: l’audience. Del resto, la piattaforma multicanale gli garantiva più o meno due milioni di telespettatori, che è un buon risultato ma non può certo competere con gli ascolti di una tv generalista. Di fatto, non è stata una marcia indietro rispetto al progetto di “Servizio pubblico” ma la semplice ricerca di un partner che moltiplichi i risultati ottenuti nella scorsa stagione.
Quindi è passata in secondo piano la libertà editoriale, motivo che l’anno scorso ha fatto naufragare l’accordo con La7?
Certo, ora le prospettive sono diverse. Un anno fa la questione era se il suo gruppo si sarebbe ben inserito e contestualizzato nella realtà di La7. Oggi la rete è solo lo sbocco della nuova avventura di Santoro, cioè “Servizio Pubblico”, il più strano e più riuscito esperimento di tv auto-prodotta, in una rete dagli ascolti più sostanziosi.
La7 non avrebbe il “controllo” su ciò che “Servizio pubblico” manda in onda?
Secondo me, la rete non ha un controllo editoriale ma ha preso il prodotto “chiavi in mano”. In ogni caso, il programma è profondamente cambiato rispetto ai talk show “di battaglia” a cui Santoro ci ha abituati. È diventato una trasmissione di approfondimento molto meno isterico, se mi permette il termine, del passato. I problemi legati alla “libertà editoriale” sono superati dal nuovo linguaggio che ha messo in campo: Santoro che non è più interessato ad una tv fatta di contrasti perché ha capito in prima persona che questo stile è superato. Santoro ora è concentrato su un tipo di televisione fatta soprattutto di racconto del quotidiano: basti pensare che nell’ultima stagione si è occupato ben poco dei suoi cavalli di battaglia come gli scioperi, gli operai in cassa integrazione e le ingiustizie sociali. Ci aveva abituato ai grandi collegamenti con le piazze, con i grandi stabilimenti in preda a lotte e rivendicazioni sindacali, tratteggiando quel pezzo di mondo che, spesso diceva, non era rappresentato da nessuno. Quest’anno l’ottica è cambiata totalmente e ha portato in studio le piccole storie legate, ad esempio, all’imprenditoria in crisi: una categoria che soffre più di altre i tempi duri della spending review.
Forse anche perché la politica è profondamente cambiata…



Può darsi, però voglio ricordare che Santoro è l’unico che non accetta la politica di Monti. Il suo competitor, “Piazzapulita” di Formigli, ha ospitato in studio il presidente del Consiglio ottenendo il risultato di una trasmissione superistituzionale, sebbene il format ci abbia abituati a ben altro. L’ultimo irriducibile è proprio Michele Santoro che, anche stavolta, ha rifiutato le logiche che vanno per la maggiore nella tv generalista: è e resterà sempre un battitore libero. 
È cambiato, quindi, solo il bersaglio: prima era Berlusconi e ora è Monti? 
Purtroppo, Santoro viene visto come una specie di “tribuno delle plebe” dimenticando che prima di tutto è un uomo di televisione e, come tale, capisce quando è arrivato il momento di cambiare format, prospettive e linea editoriale, accantonando il programma muscolare per andare alla ricerca di nuovi linguaggi e nuove scritture. 
Nell’ottica di questa continua ricerca, non pensa che tornare ad una televisione generalista significhi rinunciare a tutto ciò che ha conquistato Santoro in quest’ultima stagione, ossia un modo innovativo di fare tv e una totale libertà espressiva? 
Sicuramente è un passo indietro, se visto da questo punto di vista. Se, invece, ragioniamo prediligendo l’aspetto legato agli ascolti, non possiamo fare altro che giudicarla un scelta vincente. “Servizio pubblico” faceva a stento due milioni di spettatori e la prospettiva su La7 è che ne fidelizzi almeno cinque. La tv generalista, in Italia, detiene il 78% degli ascolti totali e questa è una ragione sufficiente per spingere Santoro a lasciare il suo progetto, per crearne un altro, in cui valorizzerà maggiormente l’aspetto legato allo share. Del resto, il suo talk show è di indubbia qualità e come tale ha investimenti importanti: i servizi sono girati e montati bene, c’è una ricerca minuziosa delle immagini, lo studio nasconde una macchina scenica imponente e tutto questo ha un costo. E per continuare a mantenere alto il livello, a Santoro serve “carburante”, cioè ascolti. 
Lei pensa che la Rai abbia perso una buona occasione per far tornare Santoro? 
Il confronto Rai – Santoro si è chiuso perché entrambi erano stanchi di un rapporto che era finito nelle aule di tribunale e che aveva stremato entrambi i contendenti. Sono convinto che la Rai debba essere una tv che annovera professionisti come Ferrara, Floris o Vespa ma anche giornalisti capaci come Santoro. La sua forza dovrebbe essere costituita da una ricchezza di offerta che dia voce a tutte le sensibilità del Paese e in quest’ottica penso che la collocazione più consona per Santoro sia proprio la tv pubblica. Ho l’impressione, però, che l’aver saggiato una totale autonomia di gestione renda quasi impossibile il suo ritorno. 



(Federica Ghizzardi)

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