Da film come Contraband dovrebbe (potrebbe?) ripartire lindustria hollywoodiana, chiusa in una crisi economica e creativa, ma soprattutto bloccata dal proprio gigantismo fine a se stesso. E invece, è il cinema medio quello che può salvare la barca in acque agitate, quello che offre intrattenimento senza bisogno di budget colossali e 3D. Così, il film di Baltasur Kormàkur – remake di un originale islandese di cui Kormàkur era interprete – ripercorre alcune strade tipiche del cinema di genere americano puntando ad amalgamare unispirazione classica al tocco moderno della tecnica.

Protagonista è Chris, un famoso contrabbandiere che ha da tempo lasciato la vita criminale per dedicarsi alla moglie e ai figli; purtroppo è costretto a tornarvi quando il giovane e sprovveduto cognato, anche lui contrabbandiere, disperde una partita di droga del boss Briggs. Toccherà a Chris e alla sua banda cercare di rimediare e ripagare il debito, trafugando banconote false. Ma non tutto andrà come previsto.

Lo sceneggiatore Aaron Guzikowski parte dal copione originale di Arnaldur Indridason e Oskar Jònasson scritto per il film Reykjavik-Rotterdam (diretto dallo stesso Jònasson) e realizza un familiare film di rapina – come dinamiche più che come sostanza – in cui la solidità della componente maschile sinfrange sulla fragilità di quella femminile. Nel descrivere una storia già sentita e raccontata di un ultimo colpo, che ricalca molti degli ideali che il noir ha descritto in 70 anni di storia del cinema, il film cerca di riportare alla mente dello spettatore più accorto alcuni tocchi dei classici, guardando più a Howard Hawks che ai suoi epigoni contemporanei: la famiglia come culla e rifugio da ogni peccato presente e passato, ma anche elemento più vulnerabile, la lotta contro le autorità, che sia la dogana, o il capitano di una nave o i boss dei traffici che costringono Chris a ogni genere di peripezia, la capacità e la sicurezza che derivano dalla professionalità, dal saper fare il proprio mestiere.

La stirpe irlandese dei protagonisti simboleggia al meglio questo tipo di atteggiamento di Kormàkur, se non fosse che verso metà il melodramma familiare simpossessa del film e appesantisce tutto limpianto, confondendo le idee tanto allo spettatore quanto al regista. Come Chris, che alle prese con un doppio piano e un doppio gioco è costretto a improvvisare, così Kormàkur vede progressivamente perdere il controllo sulla sceneggiatura e sullimpianto visivo dimostrando di non avere col pathos la stessa sensibilità che ha avuto con la suspense, per non parlare di una sudditanza al lieto fine che sarà tipicamente hollywoodiana ma qui sfiora il ridicolo e il fantasy.

Se quindi, anche sul finale – con ovvia sorpresa -, il film si salva è grazie alla solidità del suo impianto e alle facce convinte dei suoi attori: tolto un Giovanni Ribisi troppo vicino alla macchietta, Wahlberg è solido, la Beckinsale sta nel giusto mezzo tra il fascino della donna sexy e la sicurezza di una madre di famiglia e i comprimari, tra cui J. K. Simmons, sono una garanzia. Sufficiente comunque a garantire la dosa minima di divertimento a chi deciderà di dare una chance a un film che non promette di distruggere il mondo né di rivoluzionare la tecnologia, ma solo di divertire lo spettatore.