Li ricordiamo così: sempre implacabilmente in guerra ma rispettosi degli ideali dell’altro. Vittime, con un fondo di sorriso, dei tiri mancini dell’avversario. Insomma, arrabbiati ma sempre amici. Sono Don Camillo e Peppone, l’affresco di un’Italia divisa fra Democristiani e Comunisti che, anche quest’autunno, torna in tivù con la rassegna  “C’era una volta Don Camillo”. Da questa sera e per cinque appuntamenti, Tatti Sanguineti l’eclettico critico e autore savonese, apre e chiude la prima serata di Retequattro commentando, ricordando e svelando, sotto una luce inedita, le popolari pellicole di Don Camillo e Peppone, ispirate ai racconti di Giovanni Guareschi. Apre la rassegna, alle 21.10, “Don Camillo” diretto da Julien Duvivier, e campione d’incasso della stagione 1952-53. Quella che vede le buffe liti fra il parroco e il sindaco comunista del paesino emiliano di Brescello è la saga più lunga del cinema italiano, dopo quella di Fantozzi che ha tenuto compagnia agli italiani dal 1951 al 1965: nell’arco di quattordici anni sono stati cinque film mentre il sesto si è interrotto nel 1970 per la morte di Fernandel. IlSussidiario.net ha contattato proprio Sanguineti per farsi spiegare come mai le pellicole nate dalla saga nata dalla penna di Giovanni Guareschi continuano a essere amate e seguite dal pubblico. «In un suo scritto, Guareschi ha detto: “Gli italiani non hanno imparato niente dalla guerra. E’ triste: nelle guerre imparano qualcosa soltanto i morti”. Frase che io ritengo una grande lezione», dice Sanguineti.



Un’epoca drammatica, di contrapposizioni quella in cui sono vissuti Don Camillo e Peppone. E, seppur divisi da mille contrapposizioni ideologiche, continuavano a lottare, non per gli stessi ideali, ma per gli stessi obiettivi. Cosa possiamo ricavare da questo, alla luce della nostra situazione attuale?

Don Camillo e Peppone sono personaggi di fantasia o meglio, il parroco e il sindaco, sono personaggi realmente vissuti, ma il loro idillio nel lavorare uniti nel bene comune, il loro rinunciare all’ultimo cazzotto, il piegarsi a un compromesso per realizzare un progetto è un sogno. In realtà, non avvenne tutto questo. Ciò che vediamo in pellicola è una fantasia, un desiderio e un’ipotesi di un narratore. La coppia è vera, ma il sodalizio è di fantasia.



Quindi, secondo lei nella realtà odierna non è nemmeno ipotizzabile che possano esistere personaggi o persone simili?

L’aspetto curioso è che il mito di questi film è sopravvissuto alla dimenticanza di questo mondo. Oggi, i sondaggi ci dicono che il 30% dei diciottenni italiani ignora chi fosse Benito Mussolini e, immagino a maggior ragione, che ben più del doppio non conosca De Gasperi, Togliatti o Guareschi. Per questo, la sopravvivenza di questa specie di “reliquia” da un lato è una contraddizione e dall’altro, è la sola cosa rimasta di un mondo scomparso. Per il vivere dei nostri tempi, stiamo parlando di dinosauri o del Paleolitico. Sono personaggi che appartengono al regno della memoria.



Il dato di fatto è che il pubblico li apprezza: la saga è stata riproposta parecchie volte in tivù ma ottiene, nonostante ciò, un buon seguito di pubblico.

Questo è un miracolo a cui è difficile dare una spiegazione. I film vengono messi in onda con una puntualità implacabile: ogni autunno ritornano come le caldarroste o come il vino rosso. Don Camillo e Peppone sono ormai diventati l’oggetto di una specie di piccola mania. Guareschi era un “familista”, adorato dai suoi figli che stanno conservando e tramandando qualsiasi cosa abbia prodotto il padre: romanzi, fumetti, saggi, le sue polemiche e la storia fanatica ed eroica della sua vita. La sua famiglia è stata un esempio per i genitori del tempo e alcune generazioni di lettori si sono trasmesse il compito di tramandare le letture dei suoi scritti e di farle sopravvivere. Guareschi, secondo un’espressione televisiva odierna, potrebbe essere considerato “Il meglio di…” e la gente, pur avendo scordato De Gasperi o Togliatti, tiene a tramandare i suoi scritti come se fossero vecchi giocattoli d’infanzia.

 

Questi “giocattoli” antichi sono ancora in grado di insegnare o aggiungere contenuti al dibattito culturale e politico odierno?

 

Sono inassimilabili con la realtà perchè sono tremendamente inattuali. Avrebbero moltissimo da insegnare, ma nessuno li vede come possibili maestri. Il mondo odierno è il massimo della lontananza e del capovolgimento di questi valori: è agli antipodi della realtà contadina del sindaco e del parroco di Brescello. L’Italia è lontana milioni di miglia da quella realtà contadina, solidale, paesana in cui persino fra il bracciante e il mezzadro esisteva un legame che andava, secondo Guareschi, oltre alla lotta di classe. Ed è proprio per questo lo scrittore era odiato dai comunisti.

 

Quanto del successo della saga è dovuta alla storia e quanto ai due attori che hanno interpretato i personaggi creati da Guareschi?

 

Guareschi aveva selezionato alcune storie leggendarie mescolandole a veri fatti di cronaca, come i compagni che sottraggono la salma al prete che la vuole benedire o l’anarchico che si finge sordo e muto nelle galere del ventennio per non rispondere alla polizia politica e, con maestria, ci ha disegnato sopra questi personaggi. Ma solo in seguito è arrivato un regista che ha scelto le facce di Gino Cervi e Fernandel che, ancora oggi, restano indissolubili dai personaggi di Don Camillo e Peppone.

 

Questa saga ci ha donato un lascito?

 

Sicuramente, solai, biblioteche e libreria piene di volumi. Guareschi è stato stampato e ristampato centinaia di volte. Ha lasciato un grande amore per questi personaggi che veniva tramandato di padre in figlio. Sono stati molto amati: più dal mondo cattolico che da quello comunista perchè, in fondo, Don Camillo era un parroco forte e testardo e vinceva quasi sempre.