Un talento che non si può negare a Giuseppe Tornatore è quello di saper reinventare se stesso e il proprio linguaggio cinematografico. Quasi in risposta a quei detrattori che gli rimproverano di essere troppo ancorato a una sicilianità ingombrante e di sfociare spesso nelleccesso, La migliore offerta presenta come tratti caratterizzanti la sospensione in una realtà quasi del tutto svincolata da riferimenti geografici, nonché sobrietà e rigore narrativo probabilmente mai raggiunti prima dal regista.

Ambientato nel mondo dellarte, il film ruota intorno alla figura di Virgil Oldman (Geoffrey Rush), banditore dasta e collezionista misantropo e pieno di sé. Le certezze delluomo vacillano quando la sua strada incrocia quella della giovane ereditiera Claire, con cui instaura un rapporto professionale reso complicato da un misterioso segreto che riguarda la ragazza e le impedisce di mostrarsi alluomo, ma che proprio per via di questaura di mistero sfocia progressivamente in una passione che travolgerà Virgil, mai innamoratosi di nessuna donna allinfuori di quelle ritratte nei dipinti della sua collezione.

Ambigua come la relazione tra Virgil e Claire, la trama del film seduce lo spettatore con i suoi enigmi, in bilico tra ciò che è e ciò che appare, per condurlo a un finale rivelatore che sembra sul momento risolutivo, ma si apre in realtà a molteplici interpretazioni.

Ascrivibile al genere thriller per la capacità di disorientare lo spettatore con repentini ribaltamenti, ma in realtà difficilmente inquadrabile, La migliore offerta è un film cerebrale e complesso ma solo apparentemente freddo (la toccante ultima scena lo dimostra), costruito come un meccanismo a orologeria. Per una volta non si è obbligati a scegliere tra forma e contenuto e lestrema attenzione al dettaglio estetico, e in più in generale alla cornice (come la colonna sonora splendidamente efficace), si affianca a una sceneggiatura solida e intelligente, a opera dello stesso Tornatore. Fondamentale per la riuscita è più che mai il cast, che ha il suo punto di forza nelleccellente Rush, ma vanta anche comprimari di lusso, tra cui Jim Sturgess e Donald Sutherland.

Tanti sono i temi: l’incontro tra due personalità per motivi diversi votate alla solitudine procede di pari passo con la riflessione sulla finzione, che poggia sull’interessantissima tesi che anche ciò che sembra del tutto finto è sempre inevitabilmente contaminato dal reale, e spinge lo spettatore a riflettere sulle analogie tra la creazione di un’opera d’arte e la nascita di una storia d’amore.

Il film non si preoccupa di compiacere chi guarda con facili ruffianerie, tanto che la fruizione potrebbe risultare non sempre facilissima e scorrevole, ma si tratta di uno di quei film che arrivano totalmente allo spettatore poco dopo la conclusione e meriterebbe una seconda visione per cogliere pienamente dettagli e suggestioni sfuggiti la prima volta.