Con due settimane di ritardo (la prima puntata sarebbe dovuta andare in onda l’11 gennaio), anche se va detto che la messa in onda era in realtà stata inizialmente programmata per l’anno scorso, la prima puntata de Il clan dei camorristi  vera trasmessa questa sera alle 21.10 su Canale 5. Al centro della fiction di Taodue un ritratto della Camorra, ispirato alle note vicende del Clan dei Casalesi. I personaggi principali saranno il magistrato Andrea Esposito, interpretato da Stefano Accorsi, e il boss O’ Malese, che ha il volto di Giuseppe Zeno. A raccontare a ilsussidiario.net maggiori dettagli su ciò che ci aspetta in questa nuova serie è il regista Alexis Sweet che, dopo aver diretto fiction di successo come Il capo dei capi (che narrava la storia di Totò Riina), Intelligence-Servizi & Segreti e Ris-Delitti imperfetti, è tornato dietro la cinepresa per questo nuovo lavoro insieme ad Alessandro Angelini: «Il clan dei camorristi – ci dice Sweet – rispecchia in parte la realtà cronologica dei fatti che riguarda il mondo dei Casalesi. La storia si ispira dunque alla scalata al potere criminale di Francesco Schiavone, detto Sandokan, e di Antonio Iovine, mentre a essere fittizio è il rapporto che il clan ha con il giudice Esposito, interpretato da Stefano Accorsi. Ecco, questo personaggio non si ispira a nessuno in particolare, ma è stato creato dal nulla».



Dato che si parla dei Casalesi, quanto vi siete ispirati a Gomorra di Roberto Saviano?

E’ praticamente impossibile non ispirarsi a Saviano quando si sceglie di trattare un argomento del genere. Probabilmente la principale differenza rispetto a Gomorra è che il racconto de Il clan dei camorristi è più cronologico e segue in qualche modo un filo temporale, mentre Saviano si sofferma forse più sull’essenza stessa della Camorra, sul suo significato e sul ruolo che ha in Italia.



Lei ha detto che Il clan dei camorristi è una serie “abbastanza scomoda”. Cosa intendeva dire?

A essere scomodo è soprattutto il rapporto tra la criminalità organizzata e lo Stato italiano. Io provengo da una cultura anglosassone e questo tipo di rapporto appare come una parte integrante della storia italiana. Il nostro racconto vuole quindi in qualche modo far capire quanto questi due poteri così diversi sono stati (e in qualche modo lo sono ancora) legati tra loro.

Lei ha anche diretto (con Enzo Monteleone) la fiction Il capo dei capi, che raccontava la storia di Totò Riina. Quali sono le principali differenze con questo nuovo lavoro?



La principale differenza è il punto di vista narrativo. Ne Il capo dei capi, infatti, lo spettatore veniva introdotto nel racconto attraverso gli occhi del boss Totò Riina e attraverso i crimini e gli interessi dei Corleonesi, mentre in questo caso la storia potrà essere seguita dalla parte dei “buoni”, in particolare del giudice Esposito (Accorsi, ndr). Di conseguenza, anche gli esponenti della criminalità organizzata verranno visti e descritti in una luce totalmente diversa.

La serie sembra molto incentrata sullo “scontro” tra i due personaggi principali – il giudice Esposito (Accorsi) e O’ Malese (Zeno): è davvero così o ci sono altri personaggi importanti che i telespettatori dovranno tenere d’occhio?

Come accade spesso in questi casi, il giudice sarà ovviamente concentrato sul clan e sui modi per entrare in quel mondo e interferire, disturbare e bloccare definitivamente le diverse azioni criminali. Dall’altra parte, invece, i camorristi non pensano solamente a Esposito, ma saranno impegnati anche nelle loro battaglie per il territorio, la droga e altro ancora. Quindi senza dubbio lo scontro avviene, ma Il clan dei camorristi non è solo questo.

Com’è stato dirigere questi attori?

Ho diretto un cast fantastico, credo uno dei migliori della mia carriera, composto da attori seri, impegnati e molto talentuosi. A cominciare ovviamente da Accorsi e Zeno, i protagonisti, ma un grande merito va anche a tutti gli altri.

Dove sono avvenute le riprese? Avete dovuto affrontare qualche problema particolare?

Abbiamo deciso di non girare le scene direttamente in Campania, ma siamo rimasti nel Lazio. Ne Il capo dei capi tutte le riprese sono state svolte in Sicilia, anche se non proprio a Corleone, ma per un motivo preciso: Riina aveva una sorta di rispetto, di devozione nei confronti della propria terra, quindi era inevitabile che la storia venisse ambientata in quei luoghi.

Può spiegarsi meglio?

Solo per fare un esempio, Riina non avrebbe mai pensato di sotterrare tonnellate di rifiuti nella sua regione d’origine. Con il clan dei camorristi è diverso e non abbiamo ritenuto necessario girare in Campania.

È presto per giudicare l’accoglienza del pubblico, ma sembra che in genere le fiction che parlano di criminalità riscuotano un certo successo in termini di ascolti. Come mai secondo lei?

Diciamo che quando si punta su un tema come questo è molto difficile che vada male. E’ un argomento molto seguito, ma non solo dal pubblico italiano: basti pensare alle tante pellicole americane che hanno fatto la storia del cinema, da Il Padrino a Quei bravi ragazzi e così via. Credo che piacciano così tanto innanzitutto perché si tratta di storie vere, non inventate, e poi perché come sempre anche la figura del criminale e la sua scalata al potere hanno sempre un certo fascino. L’aspetto più importante, però, è la consapevolezza da parte del telespettatore che alla fine il criminale, in tutti i casi, verrà sconfitto: se così non fosse, probabilmente il riscontro non sarebbe così positivo.  

A quali progetti sta lavorando?

Verso la fine di aprile dovrebbero terminare le riprese de Il Tredicesimo Apostolo 2, mentre il prossimo progetto sarà una miniserie in due puntate sulla vita di Tommaso Buscetta. Torniamo quindi a parlare di criminalità organizzata e di Cosa Nostra, attraverso un personaggio di cui tutti conosciamo il nome, ma molto meno la vita.

 

(Claudio Perlini)