La notizia è del luglio scorso ed è stata subito rilanciata sui siti delle comunità cingalesi, pachistane e indiane che vivono nel nostro Paese. La foto parlava chiaro – tante maglie azzurre, facce sorridenti e una bella Coppa nel mezzo -, ma la traduzione, non solo della didascalia, dai dialetti tamil, urdu, burushaki, pashto, brahi, sindhi, hindi, kashmiri e assamese (lingue parlate, appunto, da cingalesi, pachistani e indiani) ha richiesto un bel po’ di tempo, e quindi noi italiani siamo venuti a saperlo soltanto qualche giorno fa. Pensate un po’, l’Italia ha vinto il campionato europeo di cricket, dopo aver battuto in finale la Danimarca in un match spettacolare, che ci darà il diritto a partecipare alle qualificazioni per i Mondiali di quest’autunno a Dubai. Già il risultato finale, un tiratissimo 215 a 197 per gli azzurri, ci dice che i punti sono fioccati in abbondanza, come in una partita di calcio tra ragazzini all’oratorio che duri dalla mattina a notte fonda. Così l’Italia, di colpo, dopo decenni nei quali del cricket non ha mai capito una mazza, ha scoperto il fascino di questa disciplina, la cui essenza sta proprio nell’abile uso di una mazza atta a colpire una pallina. Ma che razza di sport è il cricket? Come si gioca? Chi lo pratica, oltre a cingalesi, pachistani e indiani?



La storia. Si dice che il cricket derivi dal croquet, gioco importato dal Nuovo mondo dopo la scoperta delle Americhe da parte di Cristoforo Colombo. Si parla di palline costruite con le patate, allora sconosciute nella vecchia Europa. Colombo decise di chiamare croquet il piatto di patate che si cucinò al rientro dall’epico viaggio e che consumò avidamente tenendo tra le mani una paletta di legno di lunghezza non superiore a 96,5 centimetri e con una parte piatta larga 10,8 centimetri (guarda caso, le misure dell’attuale mazza da cricket…). In Inghilterra se ne trovarono tracce già nel 1300, ma solo verso la metà del 1500 se ne codificano le regole, probabilmente grazie all’opera di un tal Davy Cricket, avo di un leggendario trapper, passato alla storia nella battaglia di Fort Alamo. C’è, poi, chi fa risalire la nascita del cricket moderno in tempi molto più recenti, in India, agli albori dell’industria automobilistica locale. A metà degli anni Quaranta, negli stabilimenti Tata Motors (maggior produttore indiano di auto), il cricket era il passatempo preferito degli operai addetti alla catena di montaggio e deve il nome al fatto che si giocava con il crick delle autovetture: uno sport violento che talvolta provocava dei crack (traumi) ai giocatori.



Le regole. Ci sono undici giocatori come nel calcio, che si alternano nella battuta e nel lancio. Quando con la mazza si riesce a spedire la pallina fuori dal campo, si fa punto. La squadra che lancia deve eliminare i battitori prendendo al volo la palla o colpendo i tre paletti piantati nel terreno che si trovano dietro al battitore. I ruoli sono divisi tra lanciatore, battitore, wicket-keeper (una sorta di kamikaze), fielder (detto anche “il killer del wicket-keeper”). Detto questo, è facile intuire che vince la squadra che, a parità di punti, rimane con più giocatori. Per chi non avesse intuito le facili regole e lo spirito semplice di questo sport e volesse invece comprenderne al meglio la tattica di gioco, potrà semplificarvi il compito il disegno qui sotto:



La durata. Come detto, si tratta di uno sport che prevede la possibilità di restare in campo per molto tempo, dal momento che la lunghezza delle partite può durare da alcune ore a vari giorni. Potete immaginare quanto siano numerosi gli intervalli, per la gioia di tv e sponsor, soprattutto da ricercare tra le più importanti marche di caffè del mondo, nonché nelle più affermate aziende di thermos: solo così è possibile resistere, da parte degli spettatori sugli spalti e di quelli incollati davanti al piccolo schermo, ai frequenti abbiocchi nelle fasi meno concitate del gioco.

Curiosità varie. Il campo si chiama pitch e il più grande campo del mondo non si trova in India, né in Pakistan, tantomeno nello Sri Lanka: si trova in Perù ed è il famoso campo di Machu Pitch. Viene chiamato Slog il colpo con il quale il battitore tenta di impattare la palla con tutta la sua forza per mandarla il più lontano possibile. Molto spesso “lo” slog procura “la” slog della clavicola. Si dice Azz! quando la palla, lanciata a una velocità superiore ai 145 kmh, colpisce una parte bassa del corpo del battitore invece della parte bassa della mazza. In questo caso il lanciatore in questione prende il nome di Azzazzin. Sono tre i paletti che formano il wicket, in gergo conosciuto con il nomignolo di E.S.P., nient’altro che l’acronimo di Evaristo paletto sinistro, Silvestro paletto destro, Pasquale paletto centrale. Tutto ciò ci induce a credere che abbia a che fare con l’Azz!. Ogni partita è divisa in più parti, chiamate “innings”. Nelle partite giocate in Inghilterra gli spettatori erano soliti, tra un inning e l’altro, sorseggiare amabilmente del thè, che prese subito il nome di Twinnings Tea. Da segnalare, infine, i due simpatici cagnolini-mascotte della Nazionale italiana di cricket: il pitchbull (dal carattere borioso, esibito con orgoglio al pubblico dopo ogni vittoria) e il crocker (mogio mogio, con le orecchie basse, che viene sguinzagliato – si fa per dire… – in campo quando la squadra azzurra perde).

Frasi celebri. “Gli inglesi hanno inventato il cricket perché, non essendo un popolo particolarmente spirituale, volevano darsi un’idea di cosa fosse l’eternità” (George Bernard Shaw). “Quando vedo calpestare una popping crease, che è il bordo posteriore della linea disegnata, davanti e parallela alla bowling crease, distante da essa 1,22 metri, sto male fisicamente” (Mary Popping, un’eccentrica bambinaia diventata la più forte giocatrice di cricket della storia). “Il cricket è pura sinfonia: dopo aver assistito a una partita di cinque giorni, al fischio finale ho composto di getto l’Inning alla gioia” (Ludwig van Beethoven).