La famiglia Malaussène è un po strampalata, a essere onesti. Ma bella, non cè che dire. Bizzarra e sopra le righe, è al centro della storia tratta dal romanzo con cui Daniel Pennac inaugurò la fortunata esistenza di Benjamin Malaussène su carta stampata. Di cui la messa in scena cinematografica ha assorbito le tinte pastello e i profumi antichi. una Parigi romantica, sgranata e fiabesca quella che circola per le strade de Il paradiso degli orchi. Tra personaggi dolci e inusuali e caratteri che sembrano usciti dalla matita di un bambino.

Benjamin Malaussène, dicevamo. Che di professione fa il capro espiatorio per un grande magazzino. Contro di lui, cioè, viene puntato il dito ogni qualvolta un cliente porta indietro un oggetto malfunzionante. Con tanto di minaccia di licenziamento. Tutto per finta, ovviamente. Quel che basta ad ammorbidire le proteste e le pretese del cliente arrabbiato e insoddisfatto.

Non un granché per Benjamin, ma un lavoro che gli permette di mantenere la sua copiosa famiglia. Il fratellino un po sordo e a cui i più grandi spengono lapparecchio acustico quando sono in odore di dire parolacce. Quello con una vena creativa che lo spinge a esperimenti pirotecnici. Therèse, la dolce Therèse, in contatto con un mondo che legge attraverso le carte dei tarocchi e i transiti dei pianeti. Infine, la sorella più grande, che nasconde il prossimo pancione da mamma sotto il maglione. Lei, che, in fondo, mamma lo è già un po, a furia di tenere a bada questa squadra di matti. Tutti figli della stessa madre, ma di padri sparsi qua e là, generosi amanti di una donna innamorata dellamore.

La firma di Pennac è inconfondibile ed è bravo il regista (Nicolas Bary) a riproporre il suo stile, accarezzando la penna dello scrittore e la sua immaginazione tutta francese. E aggiungendo un tocco di gusto stravagante nel concordare una parte a Emir Kusturica. Sarà questo mix di elementi diversi tra di loro e dallaccoppiata improbabile a creare una patina di indiscutibile fascino. Riguardante contenuti e forma.

Nel primo caso, la linea poliziesca del romanzo di Pennac si affievolisce in favore di un clima più romantico e, come si è detto, fiabesco. Per cui ciò che in realtà attira la nostra attenzione non è tanto la risoluzione del mistero che si cela dietro gli attentati al grande magazzino, ma il modo e i personaggi che conducono al suo svelamento. In un clima di comicità inconsapevole e distratta che danza sull’orizzonte del “sopra le righe”.

Non ci sono effetti speciali ne Il paradiso degli orchi. Solo esplosioni mortali che volutamente stridono con l’atmosfera astratta e rarefatta della favola. Un paradiso “accomodato”, quello dei Malaussène, che con la sua ingenuità spiazza la brutale cattiveria degli orchi. Merita, il film, già solo per il piacere di vedere – e giudicare secondo il proprio gusto – se la penna di Pennac è stata degnamente ripresa e per godere di un’ora e mezza di tranquilla, vivace e sorprendente narrazione.