Poche, pochissime certezze, in questi tempi di crisi grama. Dio, patria, famiglia poco altro. Tra il poco altro, Santorini. Sappiamo tutti benissimo che è lisola greca più grande e più meridionale delle Cicladi, nell’azzurrissimo mare Egeo. Un nome che evoca sole, mare, vacanze, relax, discese al vecchio porto in groppa a un asino. E poi? Poi una mattina ci svegliamo, apriamo il giornale e, a titoli cubitali, scopriamo che una banca, il Monte dei Paschi di Siena, ha chiamato proprio così, “Santorini”, un’acrobazia finanziaria che pare sia servita a occultare perdite di bilancio per centinaia e centinaia di milioni di euro. Insomma, un’operazione così dubbia e opaca, che il termine Santorini, di colpo, ha iniziato a evocarci caligine, ansia, discese non-si-sa-bene-dove, con la certezza però che non siamo esattamente sul dorso di un somaro, perché i somari potremmo essere proprio noi risparmiatori.

Sfortuna vuole che non sia stata solo Mps ad aver scherzato con i derivati. Altre banche si sono scatenate nel mettere in atto operazioni strutturate e arzigogolate dai nomi fantasiosi. il caso di Idi di marzo, prodotto finanziario che si presenta bene (“Una pugnalata alla crisi“, recita lo slogan), ma razzola veramente male. un fido bancario così brutto, ma così brutto che il primo risparmiatore che lo ha acquistato, accortosi quasi immediatamente del trend negativo, ha esclamato “Tu quoque, Brute, fidi mi!“.Vi siete, poi, imbattuti in Buoni del Tesoro che si sono immediatamente trasformati in carta straccia, se non addirittura in carta igienica? Allora siete certamente incappati in Robe di Kakka, spregiudicata operazione sinergica tra il Credito Agricolo Pugliese Puteolano (ormai ribattezzato Pu-Pu), la Popolare di Lecce e Taranto e la Invest Pecunia Olet di Messina (che per un fortuito gioco di parole vengono oramai chiamate le “Banche del LeTaMe“, dalle iniziali delle tre province).

Ora, con calcolata dose di cinismo, gli esperti finanziari parlano di banche specializzate in depositi. Qualcuno aggiunge che trattasi di evidente prodotto finanziario “di scarto”, a tal punto che, una volta immesso sul mercato, ha cominciato subito a “puzzare”. Di derivazione strettamente europea, dal nome accattivante, L’erba del vicino è uno spregiudicato derivato Ue che investe nell’economia agricola della Colombia (perché anche le foglie di coca sono, a ben vedere, un prodotto agricolo). Accompagnato, al suo battesimo sui mercati finanziari, da un fragoroso battage pubblicitario (“Spesso i rendimenti vanno in fumo. Per comprarli ci vuole fiuto“), ha messo, non molto tempo dopo, in serissimi guai il suo principale promoter, già direttore della Banca di Noto, Salvatore Di Naso (assai noto a Noto, ma soprattutto noto agli inquirenti con il soprannome di Turi UNaschiranni, cioè “dalle narici grandi“), condannato in via definitiva per pubblicità ingannevole, avendo spacciato il prodotto come “formidabile, se non addirittura stupefacente”.

Qualcuno è pure caduto nella rete di Chi si contenta, Godot, titolo trentennale a tasso fisso (intorno allo zero), che si è caratterizzato per un rendimento che è sempre atteso a momenti, ma che non arriva mai, dal vago sentore beckettiano (la sua piece teatrale ha proprio il nome di “Aspettando Godot“). Ma a meritare una particolare citazione sono quei derivati che si sono posizionati sul mercato con tutte le carte in regola, pur essendo “camuffi”, e sono così riusciti ad abbindolare professionisti, agenti, operatori finanziari, piccoli risparmiatori.

5° posto: Fresconi! È l’evoluzione più ardita del “Fresh“, l’acronimo usato per indicare un “Floating Rate Equity-linked Subordinated Hybrid Preferred Securities“, prestito obbligazionario convertibile che serve per scaricare su altri soggetti tutti i rischi finanziari di un’operazione di acquisizione. “Fresconi” è l’acronimo di “Floating Rate Equity-linked Subordinated Hybrid Preferred Securities Che Opprimono Noi Investitori-ignari!“. A congegnarla è stata la Cassa Rurale di Sor Betto (un simpatico signore di origini veneziane che ha iniziato la sua attività di promotore finanziario conservando nel freezer i soldi che gli venivano consegnati da casalinghe e pensionati). L’obiettivo di “Fresconi!” è congelare le perdite (del sor Betto) facendo invece venire i brividi ai sottoscrittori del prodotto.

4° posto: Nerone. Ideata da un promotore finanziario chiamato Caligola – considerato dai colleghi “matto come un cavallo” -, l’operazione è stata lanciata dalla Cassa di Risparmio della Val Nerina. Il superlativo “Nerone” non deve trarre in inganno, facendo pensare che sia un prodotto meraviglioso per tutta la Val Nerina. In realtà questo derivato si caratterizza per il fatto che ha una notevole capacità di “bruciare” i soldi dei risparmiatori.

3° posto: Il domatore di spread. A mettere in atto questa acrobatica operazione sui derivati è stato un pool di società finanziarie di altissimo livello: la francese Banque Imaginaire du Jacques Tati (team di consulenti specializzati nel mimare l’uso di soldi che non si hanno materialmente a disposizione), la tedesco-veneta Sprechen gli sghei (cassa di risparmio dove i risparmi vengono sistematicamente dilapidati) e la banca d’affari americana Cheese Manhattan Bank (dedita esclusivamente a lucrare sulla compravendita di formaggi a Manhattan e sulla vendita di fotografie con gente che sorride a matrimoni, gite e lieti eventi celebrati a New York). Siffatto consorzio di banche d’affari ha inventato un derivato, rischiosissimo, che si chiama “Il domatore di spread”. A proporvelo, di solito, è un agente finanziario che non si spaventa neppure se il differenziale tra Bund tedesco e BTp italiano si allarga oltre i 1.200 punti. Anzi, a quel punto, il domatore di spread – proprio davanti agli occhi del risparmiatore che si è testè visto bruciare i propri risparmi – non esita, con massimo sprezzo del pericolo, a guardare dritte negli occhi le due curve (del Bund e del BTp) così divaricate tra loro come fauci di un leone e a infilarci dentro la sua testa (uscendone illeso, perché a finire sbranati sono solo i vostri investimenti).

2° posto: Cavallo di Troia. Lanciata da Banca Popolare di San Benedetto del Trotto e Banca Sella & Staffa, l’operazione “Cavallo di Troia” si concretizza in due fasi successive. All’inizio i rendimenti e i guadagni galoppano (Cavallo), ma a un certo punto, quando meno te lo aspetti, un manipolo di algoritmi, ben nascosti nella pancia del prodotto, escono nottetempo allo scoperto con il precipuo compito di rendere meno impenetrabile l’accesso ai conti correnti sottostanti che gli ignari risparmiatori pensavano fossero assolutamente inviolabili. A quel punto, aperta la porta ai derivati, inizia la spietata aggressione ai vostri risparmi, facendo così polpette dei vostri soldi. Solo allora si capisce la seconda parte del nome del prodotto: infatti, una volta arrivato l’estratto conto mensile, molti risparmiatori hanno esclamato: “Porca troia, mi hanno fregato un mucchio di soldi!”.

1° posto: Silvio B. (la “B” sta per Bot, che vi eravate messi in mente?). Derivato che, premettiamo, promette, promette, ma non mantiene. Ciononostante, il valore di mercato è ancora oggi in ascesa e le previsioni indicano ulteriori rialzi. Soggetto agli sbalzi e agli umori della politica, andrà riverificato ai primi di marzo. A emetterlo è la “Banca ArCòre Non Si Comanda” di Arcore, a cui, tutto sommato, va reso merito di averci creduto. Stando alla brochure di presentazione, Silvio B. è in grado di restituire, a ogni singolo sottoscrittore, 4 miliardi di IMU e di garantirgli 4 milioni di posti di lavoro.