Duchesne, alias Federico Baccomo, è un giovane scrittore milanese che nel 2009 ha trasformato un blog di successo in un romanzo, Studio Illegale, da cui ora è stato tratto il film di Umberto Carteni. Di per sé, il testo non si prestava a un adattamento, ma in qualche modo si è riusciti a imbastire una trama centrata intorno al personaggio di Andrea Campi (Fabio Volo), un avvocato di successo che lavora in una Milano che vorrebbe assomigliare a una metropoli americana. Tutti sono arrivisti, egocentrici e disinteressati alla realtà circostante, come se la vita si consumasse in un microcosmo di luoghi comuni: lincapacità di assumersi le proprie responsabilità, la sfiducia nellamore, il rapporto contraddittorio con i genitori, la passione per il calcio, le battute sulle donne.



La città del design e dellapparenza, ma anche del ristorante cinese dietro langolo e del supermercato dove i single in giacca e cravatta fanno la fila alla cassa, fa da sfondo alla storia, il cui scopo è offrire un ritratto della categoria più criticata dagli italiani: gli avvocati. Andrea lavora in uno studio legale che si occupa di operazioni societarie e, all’inizio del film, assiste al suicidio di un collega, che si schianta sulla sua macchina. Un evento che non sconvolge nessuno, come se fare il salto fosse la normale conclusione di un disagio inevitabile.



Gli avvocati, in effetti, sono personaggi apatici e indolenti, che guardano il mondo attraverso un vetro opaco. Il tragico evento sembra scuotere Andrea, che tuttavia non modifica il suo stile di vita finché non si trova invischiato nellacquisizione di unazienda farmaceutica da parte di una multinazionale araba. Conosce così la bella e altezzosa Emilie (Zoe Felix), una collega francese che – a differenza di altre giovani donne – non si lascia incantare dai suoi tentativi di seduzione. Almeno non subito. Un viaggio a Dubai porterà alla luce molti nodi, farà sbocciare lamore, ma costringerà Andrea a rivedere i suoi valori e le sue priorità.



Tutto bene, dunque? Non proprio, perché il personaggio di Volo non sembra evolvere davvero e non si trasforma mai da single immaturo in una persona adulta, in grado di affrontare la realtà a testa alta. Oscilla tra l’affermazione individuale e la libertà, tra la vita apparentemente triste (ma voluta) del single e la voglia di amore, tra le telefonate alla mamma e il rapporto con il capo. E senza una presa di posizione, il film non riesce a convincere. 

Gli avvocati non sono abbastanza spietati da spingere a riflettere sull’intera categoria, la trasformazione dei protagonisti non è portata fino in fondo: si preferisce restare sul tono leggero della commedia, affidata a Volo e condita con un divertente gruppo di personaggi secondari (interpretati da Ennio Fantastichini, Marina Rocco, Nicola Nocella). E così, a parte le battute che strappano una risata e il finale che gioca sul sospetto, lo spettatore non porta a casa granché dalla visione della pellicola.

Se il romanzo puntava a scoprire l’ipocrisia e gli scheletri nell’armadio di un certo mondo, Studio illegale annega nella tiepida crisi d’identità di Andrea, senza scavare in profondità nel tema del libro. Un film che si può vedere, ma che ha il sapore di un’occasione sprecata e, per questo, lascia l’amaro in bocca.