levento cinefilo che scalda il cuore in inverno degli appassionati, il Festival di Berlino, ma quello del 2013 si è dimostrato anche superiore alle aspettative, con un programma e uno sguardo paragonabili, anche solo per i nomi messi in campo, a quello di Venezia e Cannes, ossia i due maggiori festival del mondo.

Basterebbe partire dallapertura, The Grandmaster, lattesissimo film del maestro di Hong Kong Wong Kar-wai (presidente di giuria, e quindi fuori concorso) che ha raccontato in chiave di melodramma filosofico la vita di Ip Man, leroe cinese noto anche per essere stato il maestro di Bruce Lee. Lo stile sublime di Wong non diventa solo maniera, come accaduto a Zhang Yimou, ma si apre a raccontare un mondo e i suoi recessi mentali, per tirare fuori lessenza delle arti marziali e della storia di un Paese. Un film che la Croisette e il Lido hanno rincorso per anni, mentre il regista lo terminava, e hanno perso.

Anche il concorso questanno ha mostrato uno scatto di qualità sorprendente. LOrso doro a sorpresa, ma nemmeno troppo, è Childs Pose, dramma del rumeno Calin Peter Netzer che racconta la storia di una madre disposta a tutto per salvare il figlio dallaccusa di omicidio; Orso dargento e miglior attore (Natif Mujic, non protagonista) per An Episode in the Life of an Iron Picker di Danis Tanovic, dramma sociale sui rom nella provincia bosniaca; mentre il film più amato dalla critica, Gloria del cileno Sebastian Lelio, ha vinto il premio per la migliore attrice, Paulina Garcia, protagonista di un dramma esistenziale e sensuale.

Altra sorpresa è il premio per la miglior regia a David Gordon Green con Prince Avalanche, commedia on the road ispirata a Either Way, film islandese che vinse il festival di Torino nel 2011, e interpretata da Paul Rudd ed Emile Hirsch. Miglior sceneggiatura invece a un film da subito additato dai favoriti per un premio, Closed Curtain di Jafar Panahi, film girato durante la segregazione del regista da parte del regime iraniano, mentre le menzioni speciali sono andate a Layla Furie di Pia Marada e Promised Land, uno dei film più attesi della Berlinale di Gus Van Sant.

Quello dellamericano, in uscita anche nelle sale italiane, è tra i film più attesi dellintero Festival, una storia civile sul tema del fracking (la discussa pratica del trivellamento dei terreni per ricavare gas naturale ed economico che però distruggerebbe lecosistema) che diventa una vera e propria riflessione sulla retorica come mezzo democratica e sulla parola come chiave politica dellAmerica.

Non è il solo della truppa americana a brillare a Berlino: The Croods, film animato Dreamworks su una famiglia preistorica che sembra la versione umana de LEra glaciale, Les Misérables, il kolossal musical di Tom Hooper, Frances Ha di Noah Baumbach, commedia indie in bianco e nero che guarda a Truffaut o al vecchio Woody Allen con una grande Greta Gerwig; Side Effects, thriller allucinato di Steven Soderbergh che dimostra di saper flirtare con atmosfere più plumbee e ricercate e Before Midnight, chiusura della trilogia di Linklater sullamore tra la coppia formata da Ethan Hawke e Julie Delpi dopo Prima dellalba e Prima del tramonto. Come se non bastassero, a una compagine a stelle e strisce che unisce qualità e quantità, The Necessary Death of Charlie Countryman, Lovelace (biografia della protagonista di Gola profonda), Don Jons Addiction, esordio alla regia di Joseph Gordon Levitt.

Gli italiani? Molto pochi, ma buoni: oltre a La migliore offerta di Tornatore, nella sezione Panorama, ha brillato Materia oscura, documentario della coppia D’Anolfi-Parenti tra i migliori documentaristi d’Italia e qui alle prese con il Poligono sperimentale di Salto di Quirra, tra Cagliari e Nuoro, luogo chiave per l’esercito che però ha avvelenato terre e acque circostanti. Mentre chi è rimasto a bocca asciutta in chiave premi, ma ha brillato sotto il profilo qualitativo pare sia stata la Francia con due pellicole molto amate: La religieuse di Guillaume Nicloux, dallo stesso testo che ispirò Rivette per Suzanne Simonin la religiosa, e soprattutto Bruno Dumont, autore tra i più controversi, che conCamille Claudel 1915 smussa il suo cinema abituale grazie anche a una grandiosa Juliette Binoche. Mentre sul fronte autori conclamati delude Ulrich Seidl con la chiusura della trilogia sul paradiso, dal titolo Paradise: Hope.

Resta il solito dubbio: cosa potremo vedere dall’Italia di questa abbondante messe di film? Poco o nulla, a parte qualche titolo blasonato o graziato dalla presenza di attori noti. Forse solo qualcosa di superfluo, come il polpettone di Lasse Hallstrom, dal titolo Night Train to Lisbon. Un brutto modo per tradire un festival di respiro sempre più ampio.