La natura sa essere crudele oltre ogni immaginazione. Brutale e distruttiva senza effetti speciali, come quelli che si usano al cinema, ma con la sola esplosione della propria forza. Juan Antonio Bayona, noto alla cronaca per il successo di The Orphanage, offre la regia del suo secondo lungometraggio per raccontare la storia vera di una famiglia spagnola miracolosamente sopravvissuta alla tragedia dello tsunami.
Era il 26 dicembre 2004 quando una violenta nuvola dacqua inghiottì una lingua di costa della Thailandia. Tra i corpi sbattuti e trascinati dalla corrente cerano anche quelli della famiglia Alvarez-Belon, spagnola nella realtà, ma di origine britannica per la finzione della scena.
Sarebbe dovuto essere un Natale di riposo per Maria (Naomi Watts), Henry (Ewan McGregor), Lucas (Tom Holland), Simon e Thomas. Sole e atmosfera esotica per superare le preoccupazioni che affliggevano Henry nel suo incarico in Giappone. Una famiglia molto unita, la loro. Al punto che Maria, medico di professione, aveva lasciato il lavoro per crescere i figli e seguire Henry nella sua carriera allestero.
Poi, inaspettatamente, limprevedibile. Solo un lieve tremore della terra e lopprimente sensazione che qualcosa di spaventoso stia per succedere inchiodano Maria e i suoi cari. Un muro dacqua improvviso e devastante – che non lascia tempo, né via di scampo – si abbatte su di loro, cancellando il futuro di trecentomila persone. Non il loro, però. Qui sta la chiave del titolo. The impossible, limpossibile.
Impossibile perché forse limmaginazione umana non è allenata a pensare a una catastrofe di tali dimensioni. Impossibile soprattutto perché le vite di cinque persone – tra le migliaia che andarono perdute – unite dallamore per la propria famiglia, sopravvivono allo schiaffo violento del mare. Si perdono e si ritrovano. Ciò che rende il film meritevole di essere visto è proprio questo. Narrativamente non ci sono novità o colpi di coda. Lo scenario naturale della vicenda dei Belon è tristemente nota a tutti e il regista stesso dichiara sin dallinizio che la vicenda che si andrà a raccontare è vera.
A stupire è il modo in cui Bayona descrive i fatti. Il suo sguardo oggettivo scompare dietro una regia quasi invisibile. Trasparente e generosa nel lasciare spazio alle vite, ai sentimenti, alla forza con cui questa famiglia, sopravvissuta e divisa dalla tragedia, si cerca e si ritrova. Maria e Lucas, il più grande dei suoi figli, sono i protagonisti della prima parte del film, uniti in un binomio di ruoli ed emozioni che svela non solo il legame inscindibile tra una madre e un figlio, ma anche il meraviglioso, quanto doloroso, viaggio di formazione del giovane Lucas. Sembra che il punto di vista della storia sia quello di Maria. In parte lo è, in effetti. Ma solo nel porsi come guida ai fatti per noi spettatori e nel prendere per mano lo spaventato, ma già forte, Lucas e accompagnarlo a conoscere il coraggio della sopravvivenza.
La delicatezza con cui Bayona “lascia la parola” a Maria è quasi commovente. Lei, che nel vortice dell’acqua che la trascina è innanzitutto madre che deve e vuole aggrapparsi alla vita per sé, ma soprattutto per l’unico figlio che vede ancora in vita. Amore e compassione. Necessità di non cedere al dolore, alle ferite, allo strazio che la natura le sbatte sotto gli occhi, all’oscurità e alla rassegnazione per continuare a vivere per se stessa e per chi conta su di lei. Non solo Lucas, in qualche modo. Che è ancora troppo bambino – almeno in questa parte di film – per non cedere all’amore egoista di figlio.
Nel fluire della vita che diventa sempre più flebile in Maria, Lucas accoglie l’amore compassionevole della madre e lo fa proprio. È così che il ragazzino si trasforma nel nuovo punto di vista, non lasciando scampo a noi spettatori che siamo totalmente rapiti dai suoi affannosi tentativi di vincere la morte che lo circonda. È bambino nella paura che schiaccia il suo volto – bravissimo Holland nel sostenere un ruolo così denso di emozioni – e uomo nel coraggio con cui affronta l’oscurità. Energia tremante alimentata dalla paura di perdere ciò che di più caro possiede, dalla speranza di ritrovare – vivi – il padre e i suoi fratellini, dalla luce che illumina le persone che lui stesso impara ad aiutare in un reciproco scambio di amore e fiducia.
Quando si arriva alla fine del film niente sembra più impossibile, ma tutto molto naturale, per quanto complicato. Come se una forza centripeta attirasse a sé Maria, Henry, Lucas, Simon e Thomas. Inevitabilmente.