Questa sera Canale 5 trasmetterà la terza puntata della fiction Il clan dei camorristi, che ripercorre le vicende del Clan dei Casalesi, una delle più spietate organizzazioni della storia criminale. La serie sta riscuotendo un certo successo tra il pubblico e nello sviluppo della trama siamo arrivati a un momento chiave: dopo la morte del boss Antonio Vescia (Massimiliano Gallo), Francesco Russo (Giuseppe Zeno), per tutti O Malese, ha intenzione di prenderne il posto. Ma dovrà stare attento al giudice Andrea Esposito (Stefano Accorsi) a cui si è appena consegnato Luigi Marino (Antonio Pennarella), uno dei fedelissimi di Vescia scampato a un agguato degli uomini del Malese e ora intenzionato a vendicarsi. A regalarci qualche piccola anticipazione su quello che vedremo stasera e a descriverci i segreti di questa fiction, questa settimana è Francesco Di Leva, lattore che intrepreta Ciccio Capuano, il braccio destro di Russo.

Può descriverci il personaggio che interpreta?

Ciccio Capuano è un sanguinario. un uomo freddo, glaciale; per usare una similitudine del mondo animale, è uno che attacca e uccide. Uccidere è sicuramente il suo modo di risolvere i problemi. Non conosce la diplomazia e la sua ferocia viene proprio dal fatto che non pensa ma reagisce.

Sappiamo che il suo personaggio si ispira al boss Francesco Bidognetti Se Stefano Accorsi è stato affiancato sul set dal giudice Raffaele Cantone, lei dove ha trovato ispirazione per la sua interpretazione?

I fatti di cronaca ci hanno fatto conoscere tanti personaggi del mondo della criminalità. Per documentarmi sono andato a vedere le foto e ho cercato dei video su youtube, ad esempio degli arresti, nei quali cogliere gli atteggiamenti, il modo di muoversi. Però sono anche andato molto a sensazione, perché a volte imitare troppo la realtà non è efficace a livello scenico. Ho istintivamente cercato di capire chi era, cosa pensava Bidognetti. Ricordiamoci che parliamo di persone che dispongono della vita e della morte degli altri… in sostanza sono dei pazzi.

Finora lei hai lavorato principalmente per il cinema: comè stato passare a una fiction televisiva? Comera latmosfera sul set?

stata unesperienza fantastica, perché Alessandro Angelini è un regista cinematografico, mentre Alexis Sweet è un bravissimo regista che ha fatto tanta televisione ma potrebbe fare anche cinema, perché ha moltissima sensibilità. Mi trovavo su un set televisivo, ma era come se stessimo facendo cinema, nessuno ha preso sottogamba il progetto. Tutti gli attori erano molto professionali, precisi: si arrivava sul set la mattina pronti per girare.

Ha qualche aneddoto da raccontare che potrebbe interessare al pubblico?

Con Stefano Accorsi ci siamo regalati a vicenda delle battute per i nostri personaggi. Una volta mi ha chiamato per dirmi: «Francesco, ho pensato a una battuta per te: Se non ci siamo non ci siamo, ma se ci siamo comandiamo noi e basta. E io a lui ho suggerito una battuta che pronuncerà nelle prossime puntate: «Se questo inizia a parlare bisogna costruire un altro carcere.

Sappiamo che O Malese è pronto a prendere il comando del clan dopo la morte di Antonio Vescia. Per farlo avrà bisogno dellaiuto proprio di Ciccio Capuano e di Vincenzo De Marchi (Salvatore Striano): ci può dare qualche anticipazione su quello che accadrà questa sera?

Non posso dire molto, perché toglierei la sorpresa ai telespettatori. Comunque, in buona sostanza vale la battuta che ho detto prima: rispetto al mondo, noi quando ci siamo ci siamo e quando ci siamo comandiamo. Facciamo tutto il possibile per prenderci quello che vogliamo.

Sappiamo anche che O’ Malese verrà messo in guardia sulla fedeltà dei suoi compagni: qualcuno è pronto già a tradirlo?

Posso solo dire che qualcuno cercherà di fregarlo… ma noi siamo scaltri.

Il giudice Esposito può però contare ora sul “pentito” Luigi Marino (Antonio Pennarella): diventerà un problema per O’ Malese e i suoi?

Luigi Marino diventerà un problema come tutti i pentiti: quando fai il mestiere del camorrista, se vogliamo chiamarlo mestiere, se c’è un pentito allora tutti tremano un po’.

La fiction sta ottenendo un buon riscontro di pubblico, come altre serie ispirate alle vicende di mafia e criminalità: come si spiega questo successo?

Il fascino del male è sempre dietro la porta. Anche al cinema, a teatro e poi in tv il sangue affascina. Io stesso ho avuto il mito di Al Pacino e De Niro, attori che hanno interpretato grandi gangster. E poi le più belle donne sono accanto a uomini pazzi, forti.

Lei è stato tra gli interpreti della versione teatrale di “Gomorra”: ci sono degli elementi in comune tra la fiction e il bestseller di Saviano?

Matteo Garrone con il suo film ne ha fatto una versione più poetica, filtrata dal suo modo di vedere Napoli e Gomorra anche da un punto di vista intellettuale. Il suo è davvero un film molto poetico, che io ho apprezzato tantissimo. Noi, rispetto a Garrone, abbiamo seguito di più le orme del libro, raccontando le storie per come erano già descritte da Saviano.

Crede che raccontare una storia dai due punti di vista, in questo caso Camorra e giustizia, possa indurre a un sentimento di comprensione, se non di simpatia, nei confronti dei criminali?

Questa è la domanda che mi è stata fatta più frequentemente in questi giorni… ma l’alternativa qual è? Non parlarne? Me lo chiedo io in primis come attore. Se non ne parlano io non ne sono a conoscenza e se non ne sono a conoscenza non posso difendermi. Credo che ovviamente le cose che vengono proiettate al cinema, in tv o a teatro debbano essere filtrate dal pubblico. Quando io vedo la fiction vedo solo una grande tragedia: tutti questi boss che possono sembrare degli idoli a un certo punto muoiono. Quindi se vogliamo fermarci a un attimo prima che li uccidano possono anche sembrare degli idoli, ma poi la storia continua e li ammazzano. La serie va vista legata alla realtà e nella realtà non c’è nessuno che abbia goduto dei patrimoni conquistati grazie al crimine.

Quali sono i suoi prossimi progetti lavorativi?

È imminente il debutto a teatro (il 26 febbraio a Torino) di “Educazione siberiana”, tratta dal libro di Nicolai Lilin, da un’idea mia e di Adriano Pantaleo con la regia di Giuseppe Miale di Mauro. Sempre in quei giorni inizierò le riprese del film I milionari, con la regia di Alessandro Piva.

 

(Nicoletta Fusè)