Fino a che punto ci si può spingere pur di non perdere tutto? Quali limiti etici si possono oltrepassare per proteggere la propria tranquillità familiare ed economica? Intorno a tali quesiti si snoda La frode, prova desordio alla regia del trentenne Nicholas Jarecki. Al centro della storia Robert Miller (Richard Gere), carismatico sessantenne a capo di un impero finanziario e patriarca di una splendida famiglia. Ben presto scopriamo che il suo mondo dorato si regge in realtà su un equilibrio estremamente precario, un filo che può spezzarsi in qualsiasi momento: la situazione finanziaria dellazienda è disastrosa e solo una vendita in extremis può salvarla, mentre lamante Julie (Laetitia Casta) diventa sempre più difficile da gestire. Un solo passo falso può rovinare tutto e Robert non tarda a compierlo, cosicché la sua strada già frastagliata incrocia quella dellimplacabile detective Bryer (Tim Roth).
Lintreccio è piuttosto tradizionale, anzi si può dire tranquillamente che sa di già visto, tanto che stupisce un po che un esordiente abbia abbracciato un progetto a livello zero di sperimentazione e in cui il regista sparisce inevitabilmente dietro i grandi nomi del cast. Jarecki riesce invece a colpire nel segno grazie a unastuta costruzione della sceneggiatura e a una mano registica incisiva e discreta, creando un cerchio che si stringe attorno al protagonista fotogramma dopo fotogramma, in un pressante conto alla rovescia verso la rovina. Alla buona riuscita contribuiscono anche una certa eleganza e una lucida visione dei meccanismi spesso contraddittori che regolano leconomia moderna.
I personaggi sono il punto di forza del film, ben delineati e allo stesso tempo intrisi di ambiguità. Nessuna figura piatta e stereotipata come in molti, troppi thriller, ma personaggi vivi, vulnerabili, perlopiù votati alle scelte sbagliate, di cui lo spettatore segue ogni mossa e si trova ad aspettare impaziente le decisioni. Perché, oltre alla riflessione sullavidità incontrollata del businessman moderno, è proprio nel tema della scelta che risiede il cuore del film: prendere una posizione e assumersi le responsabilità che ne conseguono o barcamenarsi tra scappatoie e compromessi cercando di uscire puliti da ogni situazione. Seguire quella che si sente essere la strada giusta o fare la cosa giusta, intesa come la più comoda. Vincere o perdere. Estremamente calzante il titolo originale Arbitrage, la cui ambivalenza si perde con ladattamento italiano.
Ottime notizie dal cast, tra sorprese e conferme: sul primo fronte citiamo Brit Marling, interprete sensibile già notata nell’indipendente Another Earth, qui nel ruolo della figlia prediletta ma tradita, e un eccezionale Nate Parker, il giovane in cerca di riscatto coinvolto suo malgrado nei guai del magnate, che con la sua mirabile interpretazione attirerà di sicuro l’attenzione. Tra i veterani, fa piacere ritrovare Tim Roth, la cui interpretazione trasmette una vaga svogliatezza, ma poco male, perché ben si sposa con l’aura insofferente e disillusa del suo detective. Magnifica Susan Sarandon, ormai condannata al ruolo di moglie tradita per donne molto più giovani, abilissima a tracciare in poche scene luci e ombre del personaggio forse più enigmatico, che non si capisce fino all’ultimo quanto vittima e quanto complice. Pur circondata da incantevoli comprimarie, è lei a vincere in quanto a fascino.
Infine, Gere, certamente consapevole di avere a che fare con un ruolo importantissimo per questa fase della sua carriera, si è calato con passione negli scomodi panni di Miller, dando però a tratti l’impressione di essere troppo impegnato a fornire una dimostrazione, della serie “sono anche bravo, non solo fascinoso”. Tranquillo Richard, ce ne siamo accorti.