Il cinema di Giorgio Diritti è unico. Lo aveva già dimostrato nel 2005 con il suo primo lungometraggio Il vento fa il suo giro e qualche anno più tardi (2009) L’uomo che verrà ne era stato una splendida conferma. Uno stile chiaro, marcato e ben riconoscibile, che si costruisce di e per immagini. Dove ogni singola inquadratura, nella semplice complessità della sua costruzione, assume ed esprime un significato. il senso a dominare la scena, anche attraverso gesti e sguardi che valicano l’orizzonte, accompagnato spesso dal silenzio dei protagonisti o da dialoghi rari ma ben equilibrati nella scelta delle parole. Come il tumulto interiore di Augusta. Che non irrompe fragorosamente, ma si fa strada con discrezione fino a raggiungere il cuore di noi spettatori.
Un giorno devi andare non racconta una storia. Almeno non nel senso classico del termine. Esprime, invece, l’evoluzione di un lutto, dell’abbandono, di un dramma personale e del modo in cui coraggiosamente si decide di affrontarlo. Augusta, appunto. Una giovane e bella donna a cui la vita ha riservato brutte sorprese. Ferite, per lo più. Che la costringono a scappare. Sì, perché la sua, in fondo, è una fuga. Dalla quotidianità che l’ha colpita, dal grigiore di una casa – quella della madre – ancora scossa da altre dolorose vicende e incapace di ritrovare l’emozione del vivere.
Abbattuta dall’apatia e dalla routine. Augusta se ne va fino in Amazzonia, accompagnando suor Franca, un’amica della madre, missionaria da più di vent’anni in quei luoghi ancora di terra e cielo. Perché ha bisogno di cercare un senso nuovo, mettendo in discussione le proprie certezze. Trovare nuovi valori in cui credere e che le consentano di stupirsi ancora.
Inizia così il cammino della ragazza. Un sentiero lungo e per nulla scontato, che scivola in tre dimensioni, una dentro l’altra, come una matryoshka. E in cui la protagonista assoluta, oltre l’anima dolorante di Augusta, è la natura. Quella sfacciata e vera della foresta amazzonica, che nasconde al proprio interno il mistero di una vita essenziale, sfrondata dagli eccessi che caratterizzano il mondo evoluto. Terra e cielo, appunto. E l’acqua del fiume, su cui resta sospesa come una nuvola di pensieri la barca che traghetta suor Franca e Augusta da un villaggio Indios all’altro.
Quanta simbologia ci regala Diritti. Che nella prima parte del viaggio consente alla giovane donna di assecondare dapprima e scontrarsi poi con una potente realtà, quella delle missioni. Ponendo una questione. Suor Franca, dalla fede solida e incrollabile, vive per salvare gli Indios nel nome della parola di Dio. Senza accorgersi che questo comporta, in parte, una trasformazione delle loro abitudini sul modello più occidentale. Siamo sicuri, le chiede Augusta, che questi popoli lo vogliano realmente? Forse è anche per questa ragione che a un tratto la ragazza abbandona il rifugio della missione e va a vivere in una favela a Manau.
Perché, dice, ha bisogno di entrare in contatto con la vita reale. Con il fango, la pioggia, l’essenzialità della sopravvivenza, la serenità nascosta nel poco che questa gente si fa bastare per essere felice. Diventa una di loro, una della comunità. Mentre la madre, chiusa ancora nel suo dolore, soffre anche per non essere stata capace di aiutare sua figlia.
Una grande differenza separa queste due donne. L’apertura alla vita. Cupa, triste e quasi morta emotivamente l’una, madida di dolore ma sempre più viva l’altra. Che veste i colori di questa favela in bilico sul fiume e tra i rifiuti, ma sempre più vicina al suo angolo di Verità. Fino a quando un altro lutto – non personale, ma di un’amica – non la riporta indietro nel tempo. Fino a quel momento di rottura che l’ha condotta fino a lì. E che ora le chiede di fare un altro passo. Ancora più estremo, ma necessario. Per liberarsi, purificarsi da questo insopportabile dolore. Trovare, una volta per tutte, la Ragione intima per andare avanti. La fonte dell’amore e della felicità. Quel “dove” da cui tutto è partito.
È così tragico ma emozionante vedere Augusta abbandonare ogni cosa per diventare parte della Grande Natura. Per cercare la sua strada, senza seguirne di tracciate. Per cercare il cuore del suo dolore e superarlo. Per scrollarsi di dosso il peso della tristezza e tornare a sorridere di gioia. Augusta e la Natura. Sintesi femminile quasi perfetta del meraviglioso mistero della vita.