Sacha Gervasi firma un film acuto e intelligente, brillante e ironico come solo Hitchcock riuscì a essere, restituendo, così, un’immagine umana e non solo professionale di sir Alfred. La storia, infatti, ispirata al libro di Stephan Rebello Come Hitchcock ha realizzato Psyco, racconta il periodo successivo all’uscita di Intrigo Internazionale. Siamo nel 1960 e Hitchcock è in cerca di nuovi stimoli. Una nuova entusiasmante e diversa idea da elaborare. Come quella nata dalla lettura di Psyco, di Robert Bloch, che racconta i delitti della mente perversa di Ed Gein.
Nessuno, però, crede nel suo progetto. Compresa la Paramount, sotto cui il regista è a contratto. La caparbia certezza che questa storia possa essere di successo, però, convince Hitchcock a autofinanziarsi le riprese. Anche se questo significa ipotecare la casa, per esempio.
Ecco di cosa parla questo film. Dell’incontro della vita professionale e personale di sir Alfred, il cui occhio acuto si nasconde dietro la cinepresa per riversare su pellicola una realtà intensa e paurosa, ma anche per alimentare il suo intimo bisogno voyeristico. Aiutato, in questo, dalla mente agile e irrefrenabile della moglie Alma. lei, quasi sempre, a rileggere, tagliare e correggere i copioni. Un’intesa che dalla pagina scritta e dal set si fonde con l’intimità familiare.
Una donna nell’ombra, Alma. Ma non per questo fragile o irrequieta, bensì forte e risoluta. Sicura del proprio valore umano e di scrittrice. Accade, così, che Sacha Gervasi fonde un periodo critico della carriera di sir Alfred con uno altrettanto intenso – e a tratti in bilico – della sua vita intima. Ne deriva un ritratto di Hitchcock complesso, che racchiude il suo amore per il cinema – perché lui stesso è il suo cinema -, le ossessioni – ombre che prendono vita nelle pellicole che realizza -. Ma anche l’amore immenso, a modo suo, per la moglie Alma e l’intensità in cui lei e il loro rapporto lo influenzarono personalmente e nel suo modo di darsi alla Settima Arte.
La tensione per un film che potenzialmente può essere un flop e l’apparente, ma voluto, allontanamento di Alma da Hitchcock, alla cui ombra cerca di sottrarsi, collimano in una tensione ben costruita a cui noi spettatori non possiamo fare a meno di aderire. Anche perché la regia di Gervasi, per quanto non paragonabile a quella del maestro, è abile nel far scivolare le scene con piacere e godimento.
In un’altalena di emozioni che si fondono nella curiosità voyeristica di Hitchcock e nella forza d’animo di Alma. Con un ritmo agile e ironico nello stesso tempo. Forse anche grazie allo sguardo divertito e altero di Antony Hopkins e alla grazia risoluta Ellen Miller, bravissimi nei rispettivi ruoli.