Ieri sera, 9 aprile 2013, è andata in onda la seconda e ultima puntata della miniserie televisiva “L’ultimo Papa re“, per la regia di Luca Manfredi, remake, dopo trentasei anni del film di Luigi Magni “In nome del Papa re”, omaggio al padre Nino. Il cardinale Romeo Colombo (Gigi Proietti), capo della polizia pontificia, dopo le sconcertanti rivelazioni fattegli dalla contessa Flaminia (Sandra Ceccarelli), dove ha scoperto di essere il padre naturale di Cesare Costa (Domenico Diele), e le peripezie per metterlo in salvo dal carcere, nonostante il pericolo, decide di fare visita, fuori porta all’amico e confessore cardinale Baldoni (Renato Scarpa) presso il quale cerca conforto e consiglio su come affrontare l’insolita e difficile situazione nella quale si trova: padre di un irriducibile patriota per di più colpevole, assieme a Giuseppe Monti (Marco Cassini) e Gaetano Tognetti (Francesco Venditti), di avere provocato la strage alla caserma Serristori, dove sono morti venticinque zuavi. Nel mentre, poco distante dalla villa del prelato, nella campagne circostanti, hanno cominciato ad ammassarsi le truppe al comando di Giuseppe Garibaldi, pronte ad attaccare Roma per liberarla dal tirannico potere dell’ultimo Papa re della storia, Pio IX (Arnaldo Ninchi) e dalla crudeltà del potere ecclesiastico. Teresa (Greta Scarano), la giovane fidanzata di Cesare, rivela alla madre di Gaetano Tognetti, Maria (Paola Tiziana Cruciani) e alla moglie (Roberta Mattei) di Giuseppe Monti, di essere incinta e di volerlo comunicare al più presto al fidanzato anche se confessa di non sapere dove ha trovato rifugio e come. Da parte sua, Cesare, arruolatosi in una banda di garibaldini, per tranquillizzare Teresa, le scrive una lettera appassionata rivelandole di essere pronto al sacrificio estremo, pur di vedere la libertà donata a tutti i i suoi concittadini e così coronato il suo sogno. La lettera giunge nelle mani di Teresa, ma tardi, quando ormai il processo contro gli attentatori colpevoli della strage alla caserma Serristori è giunto alle sue battute finali. Infatti, il monsignore pubblico ministero (Massimo Wertmuller), dopo un’infuocata e grottesca arringa, chiede per i rei la pena di morte. La richiesta muove le proteste del cardinal Colombo che, da parte sua, cerca in ogni modo di far capire ai membri del Tribunale della Consulta la necessità di ricorre a un atto di clemenza e misericordia, piuttosto che usare la crudele determinazione che non permette loro di prendere decisioni da preti, prima che da giudici. Nonostante la difesa, la votazione ha luogo, ma viene sospesa per l’improvvisa morte del cardinale Baldoni. Monsignor Colombo si sente alle strette. La sua salute sembra peggiorare a causa delle vicende personali che sta vivendo e all’apprensione di padre, per lui nuova e straziante. Sente inevitabile la condanna alla ghigliottina dei tre giovani patrioti che ha cercato di salvare, come inevitabile la sua compromissione. Anche le cure premurose di Serafino (Lino Toffolo), il suo perpetuo, non conducono a nulla, almeno per la sua salute cagionevole.?Sostituito il defunto cardinale Baldoni con un nuovo giudice, la votazione del Tribunale permette di arrivare al verdetto finale: pena di morte per i tre responsabili. Il cardinale presidente (Camillo Milli), firma la sentenza con visibile e assurda soddisfazione, mentre Colombo abbandona l’aula indignato per il comportamento disumano dei suoi confratelli. I fatti precipitano. Garibaldi viene sconfitto a Mentana dai Francesi. Centinaia di prigionieri sono tradotti nelle prigioni pontificie sfilando per le strade di Roma, ma tra loro, fortunatamente, non sembra esserci Cesare, prontamente sfuggito alla disfatta, grazie alle premure di Teresa e rifugiatosi proprio in casa del cardinale Colombo. Il confronto con il padre è duro, anche se, mentre questi viene arrestato, scopre la verità in merito alla coraggiosa difesa sua e degli amici, sostenuta proprio da lui davanti ai giudici del Tribunale. 



Cesare fugge e Colombo viene condotto davanti al papa nero, il generale dei Gesuiti (Jerzy Stuhr), dove scopre una trama di sotterfugi e corruzione che non gli fanno piacere. Dopo avere subito forti pressioni, viene incaricato di persuadere il Papa a non concedere la grazia ai colpevoli della strage, sapendo che esporrà suo figlio alla pena capitale anche se contumace: sarà l’unico modo per affermare la sua fedeltà al Papa e alla Chiesa. Colombo vive questo dramma, un dramma dove vede crollare tutto il suo mondo e i buoni propositi di cambiamento che sperava potessero alleviare il peso delle sue personali responsabilità. Condannato al confino per le gravi mancanze delle quali si è macchiato, Colombo non saprà mai del piccolo nipote che Teresa ha dato alla luce. Solo nel 1870, quando i Bersaglieri entrano vittoriosi a Roma attraverso la breccia di Porta Pia, potrà morire sereno tra le braccia del suo perpetuo anche senza vedere Cesare vivo e presente tra le truppe piemontesi che hanno finalmente liberato Roma dalla tirannia del potere ecclesiastico.

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