Lattesa di Tsunami Tour – il film documentario sulla campagna elettorale di Grillo e del Movimento 5 Stelle – non riesce a riempire la sala Urania del cinema Apollo di Milano, dove i posti liberi raggiungono circa la metà dei disponibili. Quando si spengono le luci si sale sul tetto di un palazzo, mentre lobbiettivo spazia sul panorama di una città, dove le pagine di giornale appese al filo da bucato strillano i titolo che hanno accompagnato lo Tsunami Tour. Dopo lapertura, lannuncio del titolo è da spaghetti western: mentre il camper corre sullautostrada, un sottofondo fischiettato accompagna la grafica color terra, che ricorda con facilità il recente Django Unchained di Tarantino; intanto Grillo appare sullo schermo, intento ad appassionare le folle del Movimento. Nel camper, latmosfera hippie si confonde con le musiche country, e anche la scenografia sembra riportare lo spettatore indietro nel tempo, mentre Walter lautista – uno dei personaggi più televisivi del documentario -guida con lo stivaletto da cowboy appoggiato sul cruscotto.

Le scene si susseguono alternando interviste di Beppe Grillo con i media internazionali, i suoi comizi nelle piazze e le immagini di repertorio del camper, che spezzano senza pietà il ritmo narrativo ma non la storia. I dialoghi con i giornalisti, come le riprese interne nellufficio in viaggio, non mostrano un Grillo inedito: il comico sa recitare bene la propria parte, come conferma anche ai giornalisti: «Quanderi piccolo cosa volevi fare da grande?, «Da piccolo non pensi al mestiere, ma alla vocazione: la mia era di far ridere, e così è stato.

La narrazione continua sullonda dei comizi elettorali, fra i video dei pochi contestatori e le riprese dei cameraman nel camper, dove Walter colleziona manovre da ritiro patente: dopo la guida con un piede sul cruscotto, parla al telefono mentre è al volante e – alluscita da un albergo – imbocca una corsia contromano.

Il documentario mette al centro Grillo e la folla, mentre listrione di Genova si cimenta in gag da sketch televisivo, come il dialogo con una signora in piazza stile re taumaturgo, quando le impone le mani sul capo («Non avrai più il raffreddore), e di continuo scorrono le sue invettive: «Ci siamo giocati una generazione di geni e ci ritroviamo questi qua (i politici) che non valgono un cazzo. Nel documentario compare anche la stampa italiana, con Marco Damilano stranamente in maschera di adulatore, mentre saluta Beppe Grillo e poi, dopo dieci secondi, torna di nuovo per rendere omaggio con un augurio. Il comico svela subito il trucco: «Questi ti trattano bene, poi scrivono di tutto e parlano male del Movimento.

Nel continuo rimbalzare fra le immagini a bassa risoluzione del camper, statiche ed evidentemente “on the road”, e le riprese studiate delle piazze, il ritmo non convince, rasentando la schizofrenia (e a nulla aiutano gli interventi video di Carlo Freccero e Ferruccio De Bortoli), anche per l’assenza di un filo principale che regga la trama: l’unico conduttore pare essere Grillo, che sostiene il documentario tanto quanto il Movimento. E l’unico snodo vincente si vede verso la fine, quando il sottofondo rock conquista il primo piano insieme al camper che sfreccia in autostrada, un’attesa che – come si intuisce dal crescendo – prepara il bagno di folla di Roma a piazza San Giovanni, dove le riprese dall’alto illuminano la massa raccolta nella notte a cinque stelle.

Dopo un’ora, ritorna la panoramica sulla città, dove – insieme ai giornali appesi al vento – giungono le voci che annunciano, dai telegiornali nazionali, le prime percentuali di voto, con l’exploit del Movimento. E intanto che lo spettatore si compiace dello show appena andato in onda, immerso nella storia di un comico che conquista un quarto dei voti, torna una frase pronunciata da Grillo pochi minuti prima: «Io ho paura di svegliarmi domattina e di accorgermi che ho sognato tutto». Purtroppo no, non è un sogno. Purtroppo è accaduto davvero.

 

(Luca Maggi)