Oblivion. Ovvero un film da dimenticare. Sicuramente dopo Tron: Legacy, con cui lo stesso Joseph Kosinski, regista anche di Oblivion, aveva fatto compiere notevoli passi in avanti alla sperimentazione fantascientifica. Quanto meno in termini di tentativi audiovisivi e grafici. Che qui sacrificano il coraggio espressivo per aderire alla più canonica traccia hollywoodiana. Non ci sembra di essere troppo duri verso quest’ultima fatica di Tom Cruise, che veste i panni di Jack Harper nella Terra del 2077. Quando il nostro pianeta si è trasformato in una landa desolata dopo l’attacco alieno che ha distrutto la nostra Luna, causando una serie di disastri naturali di portata devastante.
La guerra, però, noi umani l’abbiamo vinta, anche se questo ha significato abbandonare la Terra Madre per rifugiarsi su un altro pianeta, Titano. E qui, sulle macerie di ciò che fu, restano due impiegati. Victoria e Jack. Addetti non solo alla difesa delle macchine che aspirano l’acqua dal nostro pianeta per procurare fonte di energia su Titano, ma anche alla riparazione dei droni che pattugliano il terreno alla ricerca degli ultimi alieni rimasti.
Niente, però, è come sembra. A far scontrare Jack con la dura realtà dei fatti interviene una navicella appena schiantatasi al suolo e al cui interno giacciono in condizione di sonno delta alcuni astronauti. La rincorsa della verità può quasi sembrare appassionante, non fosse che interviene a metà film e fino a quel momento non accade quasi nulla. Probabilmente, però, non è solo questo il problema di Oblivion.
Una drammaturgia blanda e spesso incoerente non si intreccia con l’azione fantascientifica che ci si aspetterebbe. E nemmeno i personaggi sono così accattivanti da rendere il film imperdibile. Tutto è molto abbozzato. Soprattutto la loro psicologia, quasi inesistente e forse un po’ più presente in Jack. Il cui personaggio, però, sembra tagliato perfettamente addosso a Tom Cruise, al suo fisico e alla sua carriera. Poco male, non fosse che lui da solo non può e non riesce a reggere la buona sorte di un film che ha del potenziale, ma non lo sviluppa a dovere.
Al di là, infatti, delle trovate fantascientifiche, che, in qualità di elemento fondativo del genere devono essere all’altezza della visione, c’è tutto un universo di significati che sono solo abbozzati. Come il rapporto tecnologia/umanità in una lotta apparentemente vincente per il versante scientifico e meccanico. Oppure il valore della memoria e il senso di appartenenza a un presente che si fonda inequivocabilmente sul passato, di qualunque genere sia. È la memoria a spingere Jack verso la direzione giusta. Verso la sua reale natura, per la quale combatte fino quasi alla morte.
La delusione più grande, però, probabilmente deriva dal fatto che in un’epoca cinematografica in cui si può inventare quasi di tutto, ci si aspetterebbe trovate fantascientifiche degne di questo nome e non una sequenza di citazioni filmiche che assomigliano più che altro a una “ruberia”.