Un po inarrestabile come il Bruce Willis di Die Hard, anche Sylvester Stallone, nei cinema nei panni di Jimmy Bobo, continua a incarnare sempre e ovunque, volente o non, il potente Sly, ricordato come quellindistruttibile sconfiggente dei mali peggiori, con ironia costanza, e passione. Il nuovo film (Jimmy Bobo-Bullet to the head), sceneggiato e prodotto dallitaliano Alessandro Camon, diretto dal regista di Undisputed, Walter Hill, pare forse una storia già vista, dalla scrittura semplice, che le sequenze di azioni mozzafiato e di muscoli Usa rendono inevitabilmente nuova: un classico moderno.

Personaggio principale il buon vecchio Stallone, mai vecchio e nemmeno troppo buono, che interpreta come solo lui sa fare leroe filmico Jimmy, un sicario di New Orleans che tutto conosce fuorché leducazione, o il perdono. Medita vendetta, e forse la ottiene, nei confronti dello spietato rivale Keegan (Jason Momoa) che, quasi un traditore infame, uccide il compagno di disavventure subito dopo averlo usato, da opportunista per bene, per commettere un omicidio impossibile.

Un duello alla pari prima, un due contro uno poi, fedele alleato di Bobo sarà il coreano Taylor Know, interpretato dal virile Sung Kang, che, ricalcando forse le orme del più comico Jackie Chan, interpreta un detective tutto strano, BlackBerry dipendente, affezionato a Stallone proprio perché lui, quasi per caso, gli ha salvato la vita. E, anche stavolta, nemmeno a farlo apposta, largomento è sempre quello: la scienza del governo, che tutto è tranne che pura, limpida e semplice come invece per tutti dovrebbe essere.

Jimmy Bobo e Taylor Know si trovano infatti a doversi alleare contro un politico corrotto, spietato e arricchito a modo suo, che addirittura sequestrerà la figlia del potente Jimmy, costringendolo a mettere in atto tutte le armi in suo possesso per riconquistare la libertà della giovane tanto amata. Ed è proprio Sylvester Stallone a rendere magico questo film. Non solo perché interpreta il personaggio più intrigante e presente della storia, ma anche perché, a buon riuscita degli incassi cinematografici in previsione per un prodotto pari a questo, la magia di Stallone è quella di riuscire a radunare intere famiglie davanti allo schermo, portando forse un po di unione dove talvolta questa manca.

I nonni ricorderanno di aver conosciuto Rocky grazie ai figli, che ora sono padri desiderosi di rendere partecipi i loro pargoli delle emozioni avventurose e adrenaliniche che il grande Sly è sempre riuscito a trasmettere loro. Un ciclo che continua, e prosegue, di generazione in generazione, e si trasmette da padre a figlio oppure, perché no, da madre a figlia, ché l’avventura piace anche alle donne.

Un po’ inarrestabile come il Bruce Willis di Die Hard, anche Silvester Stallone, seppur sempre ricordato come il Rocky Balboa di altri tempi, cerca di immedesimarsi, stavolta, in un ruolo diverso ma simile al precedente. E chissà se sarà, anche questo, l’inizio di un nuovo ciclo di personaggi, e di spettatori, che identificheranno uno dei loro inalienabili eroi, come un sicario americano, e non come un pugile invincibile. Comunque complimenti. Bel lavoro.