Sul perché si debbano remeccare i must-see del genere horror è presto detto: ragioni di mercato. E nessuno si stupisca troppo. Di certo non si sono risentiti Sam Raimi e Bruce Campbell, rispettivamente regista-produttore e star de La Casa, anno domini 1981. I due artisti compaiono in questo rifacimento 2013 come produttori, accettando i potenziali limiti del rifamolo strano in nome di un ragionevole guadagno. Chi sono quindi io per malfidare su un remake già esplicitamente accettato da coloro che diedero vita al mitico originale? Mi sono approcciato quindi con grande serenità, auspicando soprattutto un sano intrattenimento. Ho preventivato che il nuovo potesse non avere il fascino black comedy delloriginale, ma che, tuttavia, potesse in qualche modo essersi reinventato. Peraltro i recensori doltreoceano sembra siano impazziti di piacere.
Quindi vediamo il re-Ash gioco di parole da iniziati. Alla regia quel Fede Alvarez divenuto noto su YouTube (e poi a Hollywood) per aver realizzato un cortissimo di cinque minuti intitolato Panic Attack (2009), che vede dei robot realizzati in CG distruggere Montevideo, esercizio di stile con pochi mezzi a disposizione esattamente come ai tempi fece Raimi; cosa che ai produttori ha fatto ben sperare circa le capacità di Alvarez di cavare sangue da una rapa. Al regista uruguaiano si affianca in sceneggiatura lamico Rodo Sayagues, evidentemente appena tornato dalla Terra di Mezzo.
La storia che scrivono presenta qualche variazione rispetto a quella già nota ai connoseurs. Un gruppo di giovani adulti si isola in un cottage sperduto nelle foreste del Michigan. C’è una ragione: Mia (Jane Lavy) è una tossicodipendente che ha deciso di smettere la pessima abitudine e chiede al gruppo di assisterla nel momento di maggior fragilità psicofisica. Ad aiutare Mia cè suo fratello David (Shiloh Fernandez), linfermiera Olivia (Jessica Lucas) lalternativo Eric (Lou Taylor Pucci) e la fidanzata di David, Natalie (Elizabeth Blackmore). Lo scantinato del cottage rivela subito la natura sinistra del luogo e in esso i ragazzi trovano il solito buon vecchio Necronomicon (o quel che è) che Eric non tarderà a leggere, scatenando un demone che farà di Mia unossessa contagiosa.
Il primo elemento di divergenza che si palesa è la finalità della combriccola. Negli anni Ottanta, Campbell e compagni si nascondevano in tana per bere e fumare. Ora siamo un passo oltre rispetto luso di droghe, siamo allabuso e alla dipendenza grave. I ragazzi de La Casa 2013 si stringono intorno allanello debole (in quanto tale poi prescelta dal Maligno) per la sua tossicità; certi scorci di sceneggiatura lasciano intravedere il rapporto difficile con il familiare David. Il film tuttavia deve andare oltre il dramma e non può (?) disegnarsi come una metafora della tossicodipendenza, ma saltare direttamente alla crudezza di un crudo intrattenimento che giunge atteso dopo il rimaneggiamento della famosa scena dello stupro dellalbero, qui resa con un taglio un po’ più fantascientifico… diciamo così, da penetrazione aliena.
Il minus del film, comunque, risulta l’assenza di un protagonista tanto carismatico quanto fu Bruce Campbell. Questi, infatti, con il suo viso caratterizzato da un mento pronunciato (pre Tarantino), vestendo alla perfezione la cifra cartoonesca iniettata da Raimi ne La Casa, aveva fatto di un rutilante pezzo horror uno spettacolo surreale e di pari impatto comico quanto orrorifico. Ne La Casa 2013 manca di fatto la star e manca, quindi, l’immedesimazione o il parteggiamento per il buono di turno, per l’eroe, in definitiva per il Bene che deve contrastare il Male evocato.
In Evil Dead 2013 si assiste a uno spettacolo sicuramente curato, ma privo di un’anima propria, a metà fra il tentativo di “fare l’inchino” all’originale (cosa che ora sappiamo essere grandemente rischiosa) ed emanciparsi tramite l’introduzione di spunti moderni. Di certo, come l’originale, questo film riesce a trasmettere una grande dinamicità, perciò la mancanza di ritmo non è certo un suo difetto: lo spettacolo, se con ciò s’intende un viaggio rutilante per gli occhi e per le orecchie, non manca.
Ciò che di “moderno” sembra aver introdotto Alvarez è la grossa quantità di sangue e violenza con non celati rimandi alla cinematografia horror (mainstream) più cruda, vedi Hostel (2005) e accoliti. Ciò porta a categorizzare La Casa 1981 e La Casa 2013 in due settori dell’horror diversi: il primo film è un horror, come detto, dai toni eccentrici e sinistramente comici che peraltro compensano i limiti d’effettistica connessi al basso budget; La Casa 2013 è uno splatter e, ahimè, poco altro. Per quanto alla fine, volendo evitare la critica critica, il film funzioni come esercizio di terrore, i 25.000 litri di sangue e i 300 litri di vomito finti utilizzati, annegano qualsiasi serio anelito cinemistico e riducono La Casa a un’esplosione di (dis)gusto pensato per le nuove generazioni (un po’ iperattive-disattente) per compiacere le quali le case produttive somministrano esattamente ciò di cui quelle non hanno bisogno: scene ipercinetiche, frenesie, parossismi e frattaglie un tanto al chilo. E, fidatevi, chi scrive non è un’anima candida in ambito visioni cinematografiche.
L’impressione però è che La Casa di Alvarez & Co. imbocchi la famosa strada lastricata di buoni propositi finendo per realizzare qualcosa di esagitato per conquistare una fetta di nuovi fans ai quali però viene somministrata una pellicola che non sembra presentare punti iconici che possano nel tempo fare di essa un cult, come fu per quella del ’81; e dubito infatti che questa nuova generazione di horror-fans parlerà per anni de La Casa di Alvarez con lo stesso entusiasmo con cui “i vecchi” parlavano de La Casa di Raimi.
Attenzione, comunque, che non essere cult non significa essere pessimi o d’insuccesso, infatti Evil Dead 2013, costato 17 milioni di dollari ne ha già incassati 71 e rotti, e sale! Probabile però che dopo il suo periodo in sala l’interesse per il film vada scemando. Consci che doppiare il successo di un film culto e, soprattutto, ri-sondare terreni narrativi già ampiamente battuti non sia cosa facile, si rimane persuasi che La Casa di Alvarez abbia mancato il bersaglio, e non di pochissima misura. Manca di eroe, manca di humor, eccede in effettistica e sangue aggirando con ciò il dovere di essere un film creativo. Cosa ostica, certo, ma, come ha dimostrato la pellicola Quella Casa nel Bosco (2011), non impossibile; infatti quest’ultima è riuscita a rileggere (con ironia e competenza) il sub-genere di appartenenza, finendo per dare nuova linfa al vecchio e potersi così definire il vero remake postmoderno de La Casa di Raimi.