Sarà solo Carosello a tentare di farci uscire dalla recessione? Nientaffatto! In prospettiva, lItalia politica, che sta confezionando una nuova veste istituzionale con cui presentarsi agli occhi degli osservatori internazionali, vuole sfoggiare un nuovo look, forse privo di lustrini sfavillanti, ma sicuramente intagliato di buona stoffa imbastita di buona trama politica e sana riconciliazione; perciò avrà sempre più bisogno di una nuova generazione di uomini e donne pronti a cucire per lItalia un tessuto sociale, economico, produttivo e politico capace di avere più assi nella manica, per tornare nuovamente di moda in Europa, cosicché nessuno osi più puntare il ditale contro di noi.

Se questo preambolo non fa una grinza e se il discorso fin qui non ha preso una brutta piega, perché non pensare seriamente di avviare, or dunque, la nostra progenie alla professione del sarto? Sì, avete capito bene: fate studiare i vostri figli per farli diventare sarti. E anche Burgnich e Facchetti? No, fermi: quello era un altro Sarti. Per non fare più confusione, non ci resta che consultare immantinente limmancabile Zingarelli, uno che sa tante cose perché le ha sì rubacchiate qua e là, ma pure se le rammenta (e, nel caso specifico, rammenda) tutte quante: I sarti sono coloro i quali vengono pagati per misurarci dalla testa ai piedi, pungerci con gli spilli, apporci degli strani segni con il gesso sui pantaloni (che abbiano seco la saggezza dei vecchi insegnanti di scuola elementare, ma senza la lavagna?) o sulla giacca, il cui risultato finale dà sempre un vestito di due misure più grande (o più piccolo ) del necessario (ma mai ai loro occhi).

Come si evince dal nome, i sarti sono tutti originari della stessa regione, la Sartegna, la seconda àsola più grande del mar Mediterraneo, terra dalle grandi misure, storiche e culturali: il popolo sarto è infatti generoso, perciò di manica larga, cavallo basso e girocollo ampio, che ha come cucita addosso la propria identità, una stirpe che non ama mettersi in mostra, perciò non sfila, ma fa sfilare gli altri. Il mestiere di sarto, in realtà, è nato nella notte dei tempi, già nel giardino del Loden, che altro non era che la versione invernale dellEden.

Questo mestiere, proprio perché è uno dei più antichi del mondo, ma non il più antico (di questo, semmai, ne parleremo con molta circospezione in unaltra occasione, ma non per consigliarlo alle vostre figlie!) è – guarda caso – particolarmente indicato per le donne. Infatti, ci sono molte signore normali che svolgono questa professione. Di solito sono persone minute e per questa caratteristica si è soliti chiamarle sartine. Esse amano rinchiudersi in un locale ben attrezzato, anche se piccolo come una scatola: gli ignoranti esterofili lo chiamano atelier, ma il suo vero nome è scatola di sartine.

Esistono ovviamente diverse specializzazioni della professione. I sarti più a buon mercato, quelli che vi realizzano solo orribili capi fuori stagione, si chiamano saldi. E le vostre proteste rimarranno prive di risposta e di ascolto: ecco perché questi sarti sono chiamati anche sordi.

Una categoria particolare è quella che, nel momento topico della carriera, si sente ispirata da una forza per così dire soprannaturale, che in alcuni casi, rari, produce delle vere e proprie levitazioni da terra: questi sarti sono stati denominati sorti. Nei rarissimi casi in cui questo fenomeno si ripeta perlomeno un paio di volte nella vita, prendono il nome di risorti. La storia antica ci ha tramandato un solo nome di sarto famoso risorto: Lazzaro. Purtroppo per noi, delle sue collezioni non rimane traccia alcuna, restano solo scarni riscontri storici della sua mise, una volta uscito dal sepolcro: ha messo su le prime cose che gli sono capitate tra le mani, ma la gente, appena l’ha visto, lo ha applaudito.

Infine, una categoria ancor più specializzata e selezionatissima di sarti sono quelli che confezionano esclusivamente camici per medici. Sono solo quattro in tutto: due sarti superiori, Radio e Ulna, e due sarti inferiori, Femore e Tibia.

Nella vita privata i sarti sono persone molto accoglienti e socievoli. Appena entrati in casa loro, gli ospiti vengono annunciati e invitati a sfilare su una passerella rossa sotto i flash di parenti e amici. Una volta accomodati sul divano, i sarti attaccano facilmente bottone con chiunque. A pranzo, il menu è d’obbligo: aperitivo della maison a base di Bianco Sarti; tagliatelle e fettuccine “Quattro sarti in padella”; sartimbocca alla romana. Dopo il caffè, gli ospiti sono attesi a diversi appuntamenti immancabili: gara di polsino di ferro (sorta di prova di forza molto diffusa tra i sarti), partita a tombolo (festosa cucitura post-natalizia per famiglie di sarti), gita all’ago (l’ago di Como, l’ago di Garda, l’ago di Bracciano…). Non infrequente, se la compagnia di giro finisce sotto le lenzuola, il rito dell’organza, la tipica ammucchiata di gruppo à la page.

Ma come si diventa sarti? Ecco il decalogo dei consigli utili.

Primo: ovvio, occorre avere della stoffa.

Secondo: non perdere mai il filo del discorso.

Terzo: essere capaci di spillare; qualsiasi cosa, certo, ma con gli spilli bisogna saperci fare.

Quarto: non avere il senso della misura (così sarà più facile diventare “grandi firme”).

Quinto: saper usare non un solo ordito, ma tutte e cinque le ordita.

Sesto: chiamarsi Lino (nel mestiere aiuta…).

Settimo: affidarsi spesso al santo patrono, sart’Antonio.

Ottavo: dedicarsi fin da piccoli all’atletica leggera: (sarto in lungo, sarto in alto, sarto triplo e sarto con l’asta).

Nono: non saper giocare a calcio, cioè essere un broccato.

Decimo: non desiderare la forbice d’altri.

Come, in campo militare, il soldato semplice aspira a fare il generale, così la massima aspirazione per un sarto è assurgere al rango di stilista. A quel punto, i sarti hanno già imparato il linguaggio internazionale dell’alta moda e la lingua francese. Qualche esempio? “Prét-à-porter!” (“Fate presto a portarmi le forbici”), “Manniquin!” (“Che maniche di camicia che hai”!”), “Pois!” (tipica espressione dispregiativa dello stilista francofono: si può tradurre con “Questo vestito fa schifo, puah!”), “Pied-à-terre?” (“Vuoi venire a passare una serata da me?”).

Il guaio è che i sarti quando diventano stilisti, oltre all’idioma, cambiano anche genere, o meglio, “gender”. A spingerli in questa direzione, il fatto che gli stilisti amino vivere nei guardaroba, cioè tra cappotti, camicie, gonne, pantaloni, giacche, abiti da sera, golfini, tailleur e altri capi d’abbigliamento. Ed è proprio da questa loro precipua abitudine che prendono il nome di tra-vestiti. Non si può però non sottolineare il contributo decisivo al successo del made in Italy che sanno offrire gli stilisti, grazie alla loro creatività.

Per esempio, Va Lentino – lo stilista che ci mette più tempo a confezionare un abito – ha brevettato una soluzione che renderà del tutto inutile l’uso della cerniera lampo: la cosiddetta “ceeeerniiiieeeeraaaa fleeeemmaaaa”, detta anche ziiiiiiiip.

Un fitto e tremendo mistero avvolge la vita dei sarti: ma è vero che quando un sarto smette di fare il suo lavoro si disarticola (cioè, di-sarti-cola)?