Prima che arrivi la linea risuonano già le bombe, latmosfera delle stragi fa capolino nella mente dei telespettatori di Servizio pubblico, in attesa delle rivelazioni scottanti, del coup de des che riporti la luce sulle tante ombre che ricoprono episodi decisivi della storia dItalia. E intanto che la voce di Fiorella Mannoia scandisce quattro parole scolpite nello studio di Cinecittà «Io non ho paura, Santoro presenta la scaletta della serata, portando subito il ricordo di Capaci: «Le stragi sono accadute perché lo Stato ha ceduto alla mafia una parte della sua sovranità. Lo Stato non si comportò diversamente da Provenzano, si piegò ai suoi voleri. E cè posto anche per un saluto a don Andrea Gallo (in collaborazione con Vauro), di cui «la politica dovrebbe vestire i panni, dopo aver smesso «quelli di don Abbondio ed essersi liberata dalla paura che la circonda.
Nel servizio dapertura Sandro Ruotolo intervista Santino Di Matteo, il primo pentito che ha collaborato con i magistrati per dare una svolta alle indagini sullattentato a Giovanni Falcone. Una volta tornati in studio, Veltroni spiega unargomentazione contenuta nel suo ultimo libro E se noi domani: secondo il politico del Pd, molte stragi sono giunte in corrispondenza a momenti in cui il Paese stava tendendo a sinistra e puntualmente gli atti terroristici generavano uno stallo, se non uninversione di rotta verso la Dc. Veltroni, concludendo lintervento, parla di un sistema che impedisce il cambiamento del mondo politico in rapporto con la mafia, soprattutto la corrente andreottiana della Democrazia Cristiana.
Larchitettura del sospetto continua, impassibile di fronte agli ingenti elementi necessari da considerare, soprattutto affrontando la questione della trattativa Stato-mafia; a unintervista ad Agnese Borsellino segue infatti un brano delle intercettazioni fra Mancino e DAmbrosio, a cui Travaglio fa eco affermando che il primo temeva di essere lunico rimasto incastrato nel processo sulla trattativa-Stato mafia: nelle conversazioni con DAmbrosio, dunque, avrebbe chiesto che le indagini di Caltanissetta e Palermo fossero coordinate, per essere tutelato e tenere i vertici dello Stato estranei al coinvolgimento nei processi.
Ospite deccezione, Bruno Vespa affonda subito sulla necessità che lo Stato non abbia le mani sporche di sangue per Capaci e via DAmelio. In ogni caso, secondo Vespa, escludendo che Conso avesse potuto alleggerire il 41 bis senza avere la copertura politica necessaria, è comunque realistico presupporre dei contatti fra la mafia e lo Stato a causa delle stragi del 92 e del 93.
Il dibattito sulla presunta trattativa Stato-mafia si protrae, così che Walter Veltroni possa invitare tutti a collocarla nel contesto di allora, quando lItalia aveva appena visto la caduta della prima repubblica a causa di Tangentopoli; sostenendo che la trattativa sia avvenuta, Veltroni tuttavia inizia a domandare chi labbia fatta, se le istituzioni o solo una parte dei partiti (magari la corrente di Andreotti, o no?).
Così, nella fitta rete che sintreccia di continuo fra le testimonianze dirette o indirette di protagonisti delle stragi e le ricostruzioni in studio, coadiuvate dal buon Travaglio, si ritrovano Santino Di Matteo, la famiglia Graviano e Gioè, insieme ai telecomandi che avrebbero azionato le bombe per Falcone, uno dei quali sarebbe stato utilizzato poi per la strage di via DAmelio. E nel guazzabuglio delle testimonianze video raccolte, il grande sospetto sentimentale che riesce a emergere (per alcuni lunico) è che lo Stato sia complice della mafia e responsabile delle stragi.
Una dichiarazione importante, nell’alta marea di ritagli portati nello studio di Servizio Pubblico, la offre Bruno Vespa: «Io nel ‘93 ero cronista indipendente, così andai a San Giovanni per incontrare Ruini che però non c’era. Vidi il Papa, Cossiga e Parisi entrare dopo che la bomba era crollata, e chiesi a Parisi: “Mi scusi, ma che odore hanno queste bombe?” Parisi mi rispose: “Le prima (Capaci e Via D’Amelio) stabilizzavano, queste invece sono pericolose”». Santoro, agganciando l’intervento all’episodio raccontato da Vespa, chiosa che «gli intrighi nascono dal fatto che in Italia non c’era in quegli anni un’alternanza e la situazione era bloccata», così che il cambiamento che l’Italia aspettava sarebbe poi stato continuamente rinviato.
Dopo un breve servizio sul movimento di protesta “No Muos”, fatto da alcune madri contrarie a una base americana installata a Niscemi, in Sicilia, il cui campo elettromagnetico sarebbe sopra la media e avrebbe provocato l’innalzamento della percentuale di alcune malattie tumorali, benché il servizio non facesse appello ad alcun organo scientifico.
Il pezzo forte della serata non arriva da Capaci, da via D’Amelio o da Bruno Vespa, bensì dalle telecamere del carcere di Parma, dove giace detenuto Bernardo Provenzano. La cronaca del video racconta dell’incontro in carcere fra l’ex boss e Sonia Alfano, presidente della Commissione antimafia d’Europa: da quando Provenzano ha ventilato l’ipotesi di collaborare con la giustizia, la sua cartella clinica si è riempita di traumi anche cerebrali, che l’hanno ridotto a un vegetale che fatica a capire come impugnare la cornetta del citofono per comunicare con i propri parenti. Può sembrare umana una condizione dove per combattere il male si svilisce l’uomo nella propria integrità?
Le ultime cartucce dal palco di Cinecittà, sull’attualità, arrivano da Travaglio e Veltroni: secondo il primo, «il grande segreto che affratella centrodestra e centrosinistra è la trattativa, servita per costruire grandi carriere», mentre per l’ex sindaco di Roma il compromesso con il Pdl «è l’unica soluzione che possa lavorare per la ripresa del Paese».
Nella difficoltà di tenere insieme i cocci di una serata saltata per aria per la frammentarietà della scaletta, Santoro riesce comunque a condurre i propri ospiti verso un confronto ordinato che ruota, tuttavia, attorno a un “coup de des”, che “jamais n’abolira le hasard”. E l’azzardo è sempre lo stesso: attribuire a una persona frasi tagliate a metà, prendere per strada un carabiniere (o chissà, magari no) e fargli dire di fronte a milioni di persone che sapeva dov’era il covo di Provenzano mesi prima che lo prendessero, per alludere a inciuci fra le istituzioni e la mafia.
È la teoria del botto, secondo cui – prima o poi – si azzeccherà almeno uno scoop: intanto Massimo Ciancimino, figlio di Vito, torna a parlare in televisione, dopo essersi rivelato un contraffattore di prove processuali. E d’altronde nessuno già se lo ricorda più, perché basta un tiro di dadi, e la giostra ricomincia.