Come previsto, con Solo Dio perdona Nicolas Winding Refn, il regista di Drive, ha fatto parlare di sé a Cannes. Nel bene e nel male. Perché il suo film divide, non cè dubbio. difficile raccontare una storia che esplora linferno sulla Terra e gli abissi del male e della violenza, che sceglie di spingersi oltre i limiti e che provoca lo spettatore. E Refn ha dichiarato di aver voluto girare un lungometraggio su un uomo deciso ad affrontare Dio e, secondariamente, sul rapporto tra una madre e un figlio.
Ambientato a Bangkok, Solo Dio perdona mostra la tragica parabola di Julian (Ryan Gosling), un giovane americano che gestisce un club di pugilato in Thailandia per coprire un traffico di droga. Quando il fratello maggiore uccide una prostituta minorenne e viene a sua volta assassinato, la madre Crystal sbarca in città in cerca di vendetta. Lei, Kristin Scott Thomas con i capelli biondi e lo sguardo di ghiaccio, è a capo di unorganizzazione criminale e tratta Julian con disprezzo, accusandolo di non essere in grado di vendicare il fratello.
Progetta così una catena di omicidi che si infrange però contro le regole di Bangkok, diverse da quelle americane: sulla sua strada, Crystal trova qualcuno che risponde alla violenza con maggiore violenza. Si tratta di Chang, un poliziotto in pensione che agisce in base a unidea di giustizia molto personale e si vendica in modo implacabile e spietato, come una divinità pagana.
Solo Dio perdona non è una pellicola per spettatori deboli di stomaco. Il sangue scorre, i corpi sono straziati. E lultima scena, nella quale Julian affronta il cadavere della madre per riprendersi la propria identità, è uno shock inaspettato. Refn mostra come la violenza possa essere rappresentata artisticamente, è vero, tuttavia resta la sensazione che manchi qualcosa e che sia arduo apprezzare il film quando non si è amanti del genere.
Si può riconoscere labilità del regista nel costruire limpianto visivo, con i claustrofobici corridoi scarlatti, il gioco di luci e di ombre, la maniacale attenzione ai dettagli che diventano più importanti della narrazione stessa. Il rosso è il colore dominante: le lampade, il sangue, le luci, i cartelli – un rosso tagliato dalla lama scintillante delle spade. Linflusso del cinema asiatico è presente nellessenzialità della trama, nelle atmosfere e nellestrema attenzione ai movimenti dei personaggi, oltre che nella discontinuità del ritmo. E, in un certo senso, sono i due mondi – orientale e occidentale – a scontrarsi nel film, ciascuno con le sue regole, ma uniti nel culto spietato della violenza.
A rappresentare questa devozione è Chang, un sadico e glaciale tiranno che insegue la vendetta in quanto tale, sostituendosi alla Giustizia superiore. E Chang è sfidato da chi quella vendetta non riesce a perpetrarla, il protagonista Julian, un antieroe interpretato da un divo hollywoodiano come Gosling. Julian è il fratello minore disprezzato dalla madre e umiliato davanti alle donne, l’uomo che non riesce a ribellarsi al suo destino pur non riconoscendosi in esso. Un protagonista “inadatto” che si trova sul limitare di un mondo infernale, e cerca di capire fin dove può spingersi.
Colpisce la musica, un elemento sfruttato per creare un contrasto drammatico tra il rumore delle lame, le grida di dolore e le canzoni ascoltate nelle scene di karaoke, che parlano di un amore non ricambiato: brevi parentesi liriche in un mondo brutale, dove non esistono affetti, né redenzione.
Senza catarsi, la visione si dimostra alla fine un’esperienza disturbante, una rappresentazione della violenza fine a se stessa che rende la pellicola un prodotto per pochi cinefili, e non certamente per il grande pubblico.