A volte, il cinema è bello non solo guardarlo, ma anche sfogliarlo. Soprattutto se la lettura scorre rapida tra le pagine di un testo che racconta Hollywood e la sua natura. Con uno sguardo sul panorama italiano. E sulla Pixar. Si tratta di Creatività al potere (Ed. Lindau), ultimo saggio di Armando Fumagalli, docente di Semiotica presso lUniversità Cattolica del Sacro Cuore di Milano. La copertina parla chiaro. La casa di Carl – il burbero, ma in fondo dolce, vecchietto di Up – che attraversa il cielo trascinata da una soffiata di palloncini colorati. In unimmagine due concetti. Solidità e concretezza che si coniugano con la leggerezza della fantasia. Anche, però, il fulcro del testo. Con cui Fumagalli esplora Hollywood da una prospettiva diversa da quella cui siamo abituati. Cercando di capire, cioè, quali siano i segreti che fanno di Hollywood, nonostante la concorrenza di India e Cina bussi alla porta, lindustria cinematografica più solida – e difficilmente battibile – di oggi e anche di un prossimo domani.
Si rincorrono, così, temi quali sistema, anima, media élite. Limmagine ideale e idealizzata che nel tempo noi spettatori ci siamo creati della terra dei sogni si ridimensiona nel fare i conti con la realtà. Fumagalli sottolinea come dietro i sorrisi smaltati made in Usa ci siano legami e implicazioni economiche e politiche inevitabili, se si considera che il cinema resta una delle industrie più importanti. Non sono queste dinamiche, però, a governarne le decisioni. Bensì la creatività.
Proprio loro, i creativi. Definizione che a volte fa paura, perché nasconde una nuvola di umori ballerini. Alla fine, però, detengono il potere, declinando una visione del mondo che inevitabilmente passa per la loro sensibilità. Questa è la media élite. Quel nugolo di persone, cioè, che decide quali storie mettere in scena. Va detto, però, che costoro non sono completamente rappresentativi di tutto il parterre made in Los Angeles. Fumagalli evidenzia la forte presenza di dinamiche creative che, per fortuna, nascono oltre la coesa comunità hollywoodiana. Si tratta, per esempio, di voci di orientamento cristiano che affrontano e sostengono i forti valori umani che stanno alla base del vivere comune. Su questo insiste Fumagalli. Sulla evidenza, cioè, che gran parte del prodotto nato dalle dinamiche di Hollywood propone una raffigurazione della vita patinata e aspirazionale, spesso lontana dalla realtà quotidiana.
Le storie, dicevamo. Poi, però, bisogna saperle raccontare. Gli americani, tendenzialmente, sanno farlo bene. Hollywood non vince perché ha tanti soldi per gli effetti speciali, vince perché sa come si racconta una storia e come si aggancia il pubblico. Questo, secondo Fumagalli, è il grande punto in comune con la Pixar. Per il resto i successi raccolti dallazienda che ha sede a Emeryville, una cittadina fuori San Francisco, si discostano da quelli partoriti dallintellettualismo cinematografico di New York e Los Angeles. La grande e glamour America versus quella profonda. Vera, per dirla in una parola, in grado di porgere lo sguardo sui valori e i sentimenti delluomo comune. Così, evidenzia Fumagalli, sono nati capolavori della creatività più indipendente e svincolata che hanno saputo parlare al proprio pubblico di riferimento, allargandone i confini.
A tutto questo Fumagalli associa anche una breve storia degli studios e della nascita – da quando ancora era una succursale di stampo tecnologico della società di Lucas – della Pixar. E completa il quadro sottolineando non solo l’interconnessione tra il cinema e la televisione, ma anche come l’interesse di molte aziende esterne a queste due realtà sia stato vitale per lo sviluppo di importanti progetti.
“Creatività al potere” si pone, dunque, come accompagnamento agevole, indispensabile e primo nel contesto nazionale per comprendere dinamiche, sguardi e prospettive della grande America.