Legato mani, piedi e cuore al suo personaggio, l’ispettore Giuseppe Fazio che interpreta ne Il commissario Montalbano, Peppino Mazzotta è un attore poliedrico. Non si è fermato al suo primo amore, quello per il teatro, ma ha saputo reinventarsi. Nel corso della sua carriera si è dedicato oltre alla tv anche al cinema (era nel cast del film con Checco Zalone Cado dalle nubi). Ma è certamente il suo ruolo ne Il Commissario Montalbano che gli ha dato la notorietà. Braccio destro di Salvo, l’ispettore Fazio lo aiuta nelle indagini con un caso da risolvere a ogni episodio. Ieri sera abbiamo visto l’ultimo di questa stagione. E visto il successo ottenuto è facile immaginare che le avventure di Montalbano (finora ne sono state trasmesse 26) torneranno presto in tv. E Mazzotta, come spiega in questa intervista a ilsussidiario.net, sarà pronto a farne parte.
Ci parli innanzitutto del suo personaggio: chi è l’ispettore Giuseppe Fazio?
Nei romanzi di Camilleri è quella funzione narrativa che c’è in tutti i gialli che serve allo scrittore sostanzialmente per dare una serie di informazioni al pubblico e anche all’eroe che conduce le indagini per far procedere la vicenda.
Che rapporto ha Fazio con il commissario?
Lui è l’uomo di fiducia del commissario, la persona, il collega con il quale si riconosce maggiormente: in qualche modo si assomigliano. È l’uomo di cui Montalbano si fida di più e finora questa fiducia non è mai stata tradita. Tra l’altro nelle prime puntate l’ispettore Fazio era un agente scelto che poi viene promosso a seguito dell’arresto di un boss. Il rapporto tra loro è di grande empatia, lealtà e affetto che però non si esprime nelle forme convenzionali, ma sempre all’interno del lavoro. Noi riusciamo a vedere l’affetto che li lega solo ed esclusivamente attraverso il modo in cui portano avanti l’indagine.
Cosa la accomuna al personaggio che interpreta e cosa invece la differenzia?
Ci sono alcuni aspetti di somiglianza legati all’essere molto metodici, precisi e minuziosi. Quando si deve fare una cosa sia io che lui siamo portati a farla fino in fondo e nella maniera più specifica possibile. In lui questo si trasforma in quello che è stato chiamato il complesso dell’anagrafe: non si ferma alle informazioni utili, ma va oltre, trova tutte le informazioni su una persona. Anch’io sono così: se prendo un impegno tendo a portarlo fino in fondo e anche oltre le richieste che mi sono state fatte. Poi diciamo che io sono un po’ più matto di Fazio, lui è una persona molto equilibrata, io invece ho un equilibrio “a tratti”.
La rivedremo nella prossime puntate de Il Commissario Montalbano?
Se ci sarà una prossima serie sicuramente ci sarò anch’io.
Non ha mai sentito il bisogno di “staccarsi” dal personaggio che interpreta?
Sì, ovviamente sì. Purtroppo questo è molto difficile in questo momento. Da una parte mi ritengo molto fortunato di aver incrociato il “viaggio” di Montalbano ed essere salito su questo treno meraviglioso, dall’altra parte è successo, come spesso accade, che si rimane un po’ invischiati nel personaggio a cui giustamente le persone si affezionano. Alla fine è il giusto prezzo che si paga anche per avere l’affetto della gente.
Sta facendo intendere che c’è crisi anche nel mondo dello spettacolo?
Io sono uno che viene dal teatro, faccio tanto teatro e devo dire che la crisi è totale e non è solo economica. C’è una crisi di curiosità, di idee. Questo ha innescato un meccanismo di frustrazione molto forte negli artisti di teatro.
Vale lo stesso discorso anche per la televisione?
La televisione è sempre stato un luogo dove l’eccellenza raramente ha preso corpo, perché c’è la logica di un messaggio massificato, di conseguenza quello che è massificato non può essere eccellente perché altrimenti escluderebbe una fascia molto grande di pubblico. Prodotti come Il commissario Montalbano rappresentano un’eccezione, perché è di grandissima qualità e riesce contemporaneamente a interessare 10-11 milioni di persone. E questo vuol dire che lo spettatore televisivo non è così “imbecille” come pensano quelli che poi la televisione la producono o la pensano dal punto di vista della proposta culturale.
C’è qualcosa che la lega a questa fortunata serie tv?
Tutto. Io sono legato emotivamente alla serie perché ero proprio un ragazzino quando ho iniziato. Tra l’altro all’epoca non avevo mai fatto televisione, ma facevo cinema e teatro. Sono cresciuto con Montalbano, proprio come persona: avevo 27 anni, ora ne ho 41. 14 anni della mia vita sono legati ai ricordi, alle emozioni, alle difficoltà e alle gioie di Montalbano. Grazie alla serie, poi, ho ottenuto una certa visibilità. Io sono fortemente legato a questo progetto, alle persone con le quali lo facciamo, ai posti nei quali lo giriamo. È qualcosa che ormai è “fuso” con la mia vita di questi anni.
Com’è diventato attore?
Ho iniziato a 19 anni. Facevo una scuola in Calabria, dove venne Giorgio Albertazzi a fare un seminario di un mese alla fine del quale doveva portare in scena “Le memorie di Adriano” con la regia di Scaparro: serviva un ragazzo che facesse l’imperatore Adriano da giovane, perché poi da grande lo interpretava Albertazzi, e lui lo chiese a me. Io ovviamente ho detto di sì e da quel momento in poi ho lasciato la scuola e ho iniziato a lavorare…
Se le chiedessi di scegliere tra teatro, cinema e tv cosa sceglierebbe?
Non sceglierei! Nonostante ci sia stato negli ultimi anni una specie di ragionamento a compartimenti stagni (chi fa la tv non può fare cinema, chi fa teatro non può fare tv…), ritengo siano dei vezzi che si sono innescati nell’ambiente che rimangono perchè nessuno ha la pazienza e la voglia di smontarli.
In che senso?
Io sono molto d’accordo con il pensiero di Toni Servillo con cui ho lavorato negli ultimi anni a teatro: lui dice che bisogna fare tutto, perché questo consente anche di mischiare i pubblici, di fare in modo che chi ti viene a vedere a teatro ti veda anche al cinema o in televisione e viceversa, cosicché anche il pubblico sia stimolato a muoversi da un mezzo di comunicazione a un altro. Bisogna tentare di mettere insieme tutte e tre le cose.
Tra i molti spettacoli teatrali, le serie tv e i film a cui ha partecipato quale le è rimasto nel cuore?
Uno degli spettacoli che mi è rimasto particolarmente caro e che è stato per me molto importante è stato il primo che ho fatto con Toni Servillo in tournèe (ho debuttato a Roma): il “Tartufo di Molière”. Avevo 28 anni, ero molto giovane, mi fece fare il personaggio di Tartufo. È stata una grande esperienza sotto molti punti di vista sia artistici, perché l’incontro con Toni è stato importantissimo, sia umano, perché sono dovuto crescere molto in fretta, dato che fino a quel momento il personaggio di Tartufo era stato interpretato da attori adulti, anche anziani, quindi di grandissima esperienza. Essendo un ragazzino, ho dovuto fare un processo di crescita rapidissimo, guidato magnificamente da Toni e quindi è stata un’esperienza che mi è rimasta dentro e che difficilmente scorderò.
Quali sono i suoi prossimi progetti?
Ora sono in teatro con lo spettacolo di Luca Zingaretti “La Torre d’avorio” di Artaud, siamo agli sgoccioli della tournèe. Poi c’è un progetto che dovrei fare in televisione, ma che sto ancora definendo e di cui preferisco non parlare. Scrivo anche dei testi teatrali e prossimamente presenterò una sceneggiatura.
(Elena Pescucci)