Non poteva che essere dedicata alla morte di Giulio Andreotti, la puntata di Piazzapulita andata in onda ieri sera. L’ombra di un uomo che ha guidato per ben sette volte il governo italiano, ancora divide la nazione tra coloro che lo acclamano e coloro che condannano fermamente il suo operato. La polemica infuria attorno alla remota possibilità che al “Presidente” vengano concessi gli onori del funerale di stato, anche se non si deve dimenticare che Andreotti è stato il discusso protagonista di oltre mezzo secolo di storia politica e uomo della “prima repubblica”. Il Fatto Quotidiano ha dedicato alla notizia una prima pagina choc dove campeggia una grande foto e il titolo: “Rinviato a giudizio“. Da immaginare le critiche come gli assensi. Corrado Formigli ha introdotto attraverso questa premessa l’ospite centrale della puntata, un uomo che per tre volte è stato ministro nel governo Andreotti, uno degli appartenenti al “cerchio magico”, amico da sempre: Paolo Cirino Pomicino. In una veloce intervista rilasciata a Milano, prima della sua partenza per Roma, con lacrime di provata commozione ha riconfermato l’importanza della sua amicizia vecchia di trent’anni con il senatore a vita. Ha raccontato del profondo rispetto che li ha da sempre legati e del fatto curioso che lui gli diede sempre del lei. In studio, il racconto di Paolo Cirino Pomicino è continuato con una dovizia di particolari straordinaria. Il commento fatto alle polemiche come agli attacchi che non sono stati risparmiati, non ha fatto altro che ribadire la sua posizione: i detrattori sono una minoranza e in regime di democrazia, le minoranze vanno sempre tutelate concedendo loro lo spazio adeguato per potersi esprimere. Raccontando la vita di un uomo di potere come è stato Giulio Andreotti, inevitabile è stato l’accennare alla complessa questione della menzogna. Cirino Pomicino ha affermato come un uomo di stato non può venire facilmente giudicato. Dipende sempre dall’uso che se ne fa della menzogna, anche se sarebbe meglio definirla “ritenzione mentale” secondo la definizione gesuitica. “Non possiamo dire che il Presidente degli Stati Uniti Truman fu un delinquente perché ordinò di sganciare le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki“. Ha sostenuto usando un termine di paragone scomodo, ma efficace. L’operato di uno statista va considerato nella sua totalità e nei risultati che ha ottenuto per il bene della nazione. Inevitabile l’accenno alla dichiarazione rilasciata proprio ieri da Licio Gelli, ex gran Maestro della Loggia Massonica P2, a commento della morte di Andreotti: “Ha usato i segreti per il bene del popolo”. Su questo tema scottante, Formigli ha ricondotto nuovamente l’intervista sulla questione del rapporto tra verità e menzogna nella vita di un uomo che ancora oggi, da morto, divide l’Italia intera. I lati oscuri di una vita stanno prevalendo ecco perché tutto quanto sempre detto e mai provato, saputo, come le presunte collusioni con il potere mafioso, macchiano inevitabilmente la memoria di chi se ne è andato. Antonio Padellaro, direttore dell’edizione cartacea de Il Fatto Quotidiano ha ribadito come il titolo scelto per l’edizione on line del giornale sia stato duro, ma di una grande efficacia mediatica. Secondo la sua analisi, i guai dell’Italia dei nostri giorni, andrebbero ricercati negli anni quando Andreotti, Moro e Fanfani furono gli uomini di punta di una Democrazia Cristiana inattaccabile sotto ogni punto di vista. Furono momenti di crisi economica, anche se non grave come quella di oggi. Anni tormentati dal brigatismo, poi sfociati nel tragico rapimento e nell’uccisione di Moro stesso. Non esistevano ancora l’euro e l’Europa e la spesa pubblica venne affrontata con un atteggiamento a dir poco allegro andando a gettare le basi di tutte quelle voragini di debiti che oggi rischiano di soffocare un sistema intero. Nonostante questo, Padellaro ha concluso il suo intervento sostenendo che o gli uomini di quella politica erano dei giganti o quelli di adesso sono dei nani. Furono comunque una generazione di statisti dotati di una preparazione differente e con una chiarezza istituzionale diversa. Vladimir Luxuria, artista e supporter per i diritti civili, ha accomunato la morte di Andreotti con la morte di Margaret Thatcher, evento che ha diviso il Regno Unito tra sostenitori e detrattori. Secondo il suo punto di vista il rispetto per una persona che ha lasciato questo mondo si tributa mantenendosi coerenti con le proprie idee in merito. Non serve a nulla cancellare ogni ombra di critica per passare tra coloro che piangono la perdita per sentirsi a posto con la coscienza. Ha poi rammentato un episodio avvenuto durante una puntata di Tappeto volante. Erano gli anni quando si discuteva dei DICO e Andreotti era senatore a vita. Le parole che impiegò per criticare il disegno di legge che si stava preparando, dimostrarono tutta la sua chiusura nei confronti delle persone omosessuali. Inoltre, ha aggiunto Luxuria, non possiamo dimenticare la gestione del “Caso Moro”. “Se Pecorelli fosse ancora vivo, sapremmo qualcosa in più“. Ha commentato aggiungendo di non definire sempre e solo come una minoranza, quella dei detrattori. Già a quei tempi, la divisione sulla figura di Andreotti, era ampia e contrastante.
Su questi interventi si è acceso un vivace dibattito. Sono stati nuovamente rammentati tutti i sospetti di connivenza con la mafia. La controversa figura di Salvo Lima, che Pomicino a difeso come innocente da ogni possibile collusione con la malavita organizzata anche se non si deve dimenticare, come ha fatto notare Antonio Padellaro, che la DC di quegli anni, intrecciò non pochi rapporti con le mafie, come processi e scandali ancora oggi testimoniano creando divisione.