Alla Confederations Cup, che inizierà sabato 15 giugno, torneo di calcio che prelude il Mondiale brasiliano 2014, parteciperà anche la Nazionale di Tahiti. Chissà mai perché lhanno invitata. Una squadra materasso in piena regola, che farà divertire: sì, tutte le squadre che se la troveranno di fronte. O forse no. In ogni caso, va detto che qui il calcio è ancora pura gioia: folle oceaniche e maree di gol, per lesultanza dei tifosi della più grande isola della Polinesia francese!

La storia. Fin dallantichità i tahitiani sono stati grandi cultori di questo popolarissimo sport. Fedeli nei secoli a unospitalità che è connaturata, ieri come oggi, al carattere cordiale di un popolo tra i più accoglienti al mondo, hanno sempre praticato la tradizione di invitare a loro spese quei popoli, meglio, le relative squadre, con i quali avevano (o volevano avere) scambi commerciali e culturali. Certo, le distanze proibitive, che separano le isole della Polinesia dalla terraferma, hanno sempre costituito un problema quasi insormontabile. Nella tragedia di Eschilo, siamo nel V secolo a.C., Sisifo che rotola la pietra (già nel titolo una chiara allusione al gioco del calcio, ma anche ai Rolling Stones, potrebbero osservare gli amanti del rock) si narra infatti che una squadra di calcio dellEllade, il PAOK (Podisticamente Affrontiamo Onerosi Kilometraggi) di Salonicco, non si sa bene come, abbia voluto affrontare il lungo viaggio, solo per raccogliere la sfida di un Paese tanto lontano. I Greci, partiti in ventidue, giovani, forti e gagliardi, come chi sente nel proprio fisico di tradizione guerriera tutta linvincibilità che la protezione degli dei dellOlimpo portava con sè, arrivarono a Tahiti stremati e solo in otto, ormai ultraquarantenni: furono sonoramente sconfitti, umiliati dai loro avversari, beffardamente multati dallallora giovane federazione per non aver cominciato la partita con un numero di giocatori congruo allimportanza della sfida.

Barriere coralline. Il giocatore più rappresentativo si chiama Setiri Vasulpalo. In carriera ha segnato tre soli gol (Tre è il numero perfetto, sottolinea con una buona dose di spocchia il trequartista tahitiano), ma ha colpito la bellezza di 497 tra pali e traverse, da tutte le posizioni e in tutti i modi (di destro, di sinistro,di testa, di potenza, con un pallonetto). Vasulpalo è stato trovato più volte positivo allantidoping (la legislazione sportiva è assai blanda, in questa materia): avendo un naso orribilmente grande, la stampa sportiva lo ha sempre accusato di pensare più al tiro che ai tiri in porta

Anche il portiere Makè Paapéra è molto amato per come sa piazzare la cosiddetta barriera corallina (dispone i compagni di squadra a mo di invalicabile muraglia umana contro la quale vanno regolarmente a infrangersi le punizioni dal limite calciate dagli avversari) e poi per il modo singolare con il quale interpreta il suo ruolo di estremo difensore. Tuttavia, non è considerato affatto un fuoriclasse: appena può si appende alla traversa e spesso utilizza uno dei due pali per aprire le noci di cocco. A Tahiti è soprannominato Manu (uccello), perché – a motivo di queste abitudini – si fa sempre uccellare dagli attaccanti avversari.

Per questi motivi, nonostante la fama e la popolarità di cui godono in tutta la Polinesia, Vasulpalo e Paapèra sono stati esclusi dalla lista dei convocati per la Confederations Cup. 

Consuetudini boriose. A Bora Bora è difficile giocare una partita di calcio, a causa dei violentissimi alisei: nove volte su dieci, infatti, l’arbitro non fa in tempo a lanciare in aria la monetina che subito vola via. Nei primi anni ’70, corrispondenti al loro boom economico, per ovviare all’inconveniente gli arbitri hanno cominciato a lanciare in aria il proprio portafoglio, ma nonostante il benessere diffuso, l’occasione continuava (e continua tuttora) a fare l’uomo ladro. I bigliettoni spariti non si contavano più, a volte la partita non poteva essere disputata per manifesto furto del portafoglio con immediata contestazione dell’arbitro al commissariato locale (le denunce di furto e la relativa burocrazia hanno tempi che mal si conciliano con la tempistica delle gare, rimandate in continuazione a data da destinarsi). Allora la Federazione Calcio Tahitiana ha stretto un accordo con la Banca Mondiale: prima di ogni partita, al posto della monetina, viene lanciata una postazione bancomat. Un po’ ingombrante, ma vuoi mettere la sicurezza?

Gli Ammutinati del Bounty. A Bora Bora per il tradizionale ritiro pre-campionato andava ogni anno la Triestina, e fu un’idea del mitico Paròn, al secolo Nereo Rocco, che una volta apostrofò il suo centravanti così: “Ti se’ un mona a far gol! Ostrega, qui a Trieste per ti e per tuti voaltri non xe l’aria che tira!”. Detto fatto: tutti sull’aereo, destinazione Bora Bora, dove anche il tifo è molto acceso, praticamente è un tifone. Si gioca sempre la sera, alla stessa ora: e siccome siamo a Bora Bora, l’orario d’inizio è sempre alle venti e venti. Spesso la Triestina si è trovata come sparring partner, nelle amichevoli e negli allenamenti, la squadra degli Ammutinati del Bounty: giocatori tignosi, un po’ indisciplinati, violenti nei contrasti. E compagine singolare: nessun giocatore ha mai voluto indossare la fascia da capitano, chissà perché.

Trasferte in Laguna. Nelle trasferte le squadre della massima serie non usano i pullmann, ma solo Renault Laguna, di solito di colore blu: i ventidue giocatori in campo e tutto lo staff stanno un po’ stretti, ma si divertono ugualmente suonando i pahu (tipici tamburi ricavati dai tronchi d’albero) e ballando le tradizionali danze folcloristiche polinesiane sul cruscotto della Laguna. Stretti stretti si compatta lo spirito di squadra!

Sbadigli oceanici. Particolarmente noiose sono le sfide con la nazionale di Kiribati (Stato insulare dell’Oceania), che di solito avvengono ogni quattro anni, durante i tradizionali Giochi del Pacifico: novanta minuti di kiri-bati e ribati.

Tahiti-Uruguay. La nazionale tahitiana è stata inserita nel Gruppo B della Confederations Cup insieme a Spagna, Uruguay e Nigeria. Solitamente, quando i tahitiani devono affrontare partite di questo calibro, giocano tutte le carte a loro disposizione, ma proprio tutte! Perciò, tra gli undici titolari, non potrà non trovare posto l’abilissimo (?) centrocampista Haamaururuuru. Abilissimo non tanto per le sue qualità tecniche, quanto perché in tahitiano Haamaururuuru significa “ringraziare”.

Infatti, prima della partita e dopo il lancio della monetina, Haama (accorciativo coniato dai tifosi) è capace di stringere le mani e ringraziare ripetutamente non solo il capitano avversario, l’arbitro, i due guardalinee e gli altri collaboratori delle “giacchette nere”, ma pure tutti i cameramen a bordo campo, i componenti delle due panchine e a volte anche i tifosi seduti sugli spalti. Una volta, contro l’Uruguay, Haamaururuuru si è addirittura superato: ha infatti recitato l’Haamaururuuru-guay, una sorta di poema di ringraziamento che cita, a uno a uno e nome per nome, i 3,4 milioni di abitanti del Paese sudamericano. A qualche minuto dal fischio d’inizio, fissato per le 20.20 (si giocava a Bora Bora) Haama, dopo aver rassicurato tutti che avrebbe detto “solo poche ma sentite parole di ringraziamento”, ha a suo modo rispettato i tempi: in effetti, la partita si è disputata alle 20.20, ma tre giorni dopo! Anni fa, colpito da un violento attacco di raucedine, è riuscito a farsi consegnare dall’arbitro la monetina prima del fischio d’inizio, e poi è andato a gettarla in mezzo all’oceano. La Federazione Calcio Tahitiano ha dato a questo gesto, ripetuto in numerose altre occasioni, un valore simbolico, pari a quello rappresentato dal lancio della monetina dentro la Fontana di Trevi a Roma. Per cui il giocatore non è mai stato punito per il suo gesto.

E’ invece capitato – chissà perché ancora una volta con l’Uruguay – che a pochi minuti dalla fine, l’allenatore tahitiano abbia deciso di sostituire Haamaururuuru con l’altrettanto abile Titau, che, per la cronaca, in tahitiano significa “congedarsi”. Titau, dopo il fischio finale, ha stretto le mani a lungo e ringraziato ripetutamente non solo il capitano avversario, l’arbitro, i due guardalinee e gli altri collaboratori delle “giacchette nere”, ma pure tutti i cameramen a bordo campo, i componenti delle due panchine e a volte anche i tifosi sugli spalti, recitando il Titau-ruguay, una sorta di poema di commiato che cita, a uno a uno e nome per nome, i 3,4 milioni di abitanti del Paese sudamericano.

E’ inutile dire che, col tempo, l’Uruguay ha imparato a proprie spese a temere questa partita. Che noi vi consigliamo di non perdere. Segnatevelo: domenica 23 giugno ore 16 locali (in Italia le 21). Attenzione: non vorremmo che la partita, per motivi, diciamo così, diplomatici, slittasse alle 20.20, quando in Italia sarà la 1.20… Buonanotte, allora! Anzi, “Taoto maitai!”.