Nessuno lo ha mai notato daltronde non sarebbe forse stato possibile neanche farlo magari lavorando a Fiumicino ma no, da noi sono arrivati qualche anno dopo il successo negli States eppure venivano, vedevano, talvolta prendevano appunti e sparivano. E così per più di 50 anni! Ma di cosa stiamo parlando, perbacco? Presenze oscure? Percezioni extra-sensoriali? Fenomeni di bilocazione? Fantasmi? Creature aliene? Forse lultima che avete pensato è quella che si avvicina di più alla soluzione del mistero. Sì, perché il duraturo successo di Star Trek, la saga di cui lultimo capitolo (Into Darkness) è appena apparso nelle nostre sale cinematografiche, si dice che provenga da unassidua sequenza di viaggi in Italia, durante i quali il glorioso Gene Roddenberry, ideatore della serie, trovò ispirazione per le sue storie e per i suoi personaggi nientepopodimeno che dalla Metropolitana di Roma! Le visite nel nostro Paese cominciarono durante le Olimpiadi del 1960 e proseguirono fino alla sua dipartita, o forse sarebbe meglio dire fino al suo ultimo viaggio (una piccola capsula con le sue ceneri fu spedita nello spazio per orbitare intorno alla Terra per sei anni, dopo i quali bruciò nellatmosfera durante la caduta), e sono successivamente continuati da parte dei suoi collaboratori più stretti negli anni successivi.

A rendere note queste incredibili rivelazioni sono state due Berry, consanguinee del già citato Gene: la nipote, lattrice Halle Berry, e sua madre, Mason Berry, anchessa sceneggiatrice, sulle orme del fratello, nota soprattutto per aver ideato e poi prestato il proprio nome al personaggio da lei inventato, un famoso avvocato protagonista di un altrettanto famoso legal drama (così si chiamano negli Usa i telefilm giudiziari), che ha avuto molto successo anche qui in Italia: Berry Mason. In unintervista ad alcuni media americani, le due donne hanno messo in luce quanto lamore per lItalia, per la città di Roma e per i romani abbia determinato il successo della serie: pare che Roddenberry sia stato subito affascinato, in occasione del suo primo soggiorno durante le Olimpiadi del 1960, dallunica linea funzionante della metropolitana della Capitale, inaugurata solo cinque anni prima dallallora presidente Einaudi.

Fu proprio in questo primo viaggio che si ritrovò a chiedere, al conduttore del mezzo pubblico su cui era salito, i tempi di percorrenza della tratta Termini-Eur Magliana (il nostro Berry aveva studiato litaliano e trovava il romanesco un dialetto assai musicale): A dottò – fu la risposta -, dirglielo così suddupiedi, è na vera e propria impresa!. Impresa: già! In inglese: Enterprise! Proprio come il nome dellastronave. Con altrettanta suggestiva fantasia, il nome di uno dei personaggi più famosi della serie, il mitico dottor Spock, venne preso dal termine italiano spocchioso, a riguardo di una certa boriosa indolenza dei conducenti dei treni metropolitani (a uno dei quali aveva richiesto quanto tempo impiegasse la vettura per raggiungere la stazione Eur Magliana): A dottò, vade metro, Magliana! E nveda di nun rompe li cojoni tutti li santi giorni co sta storia der traggitto. Se compri na bella cartina o se faccia teletrasportà!. Insomma, parlando con i conducenti, Roddenberry si trovava già delle vere e proprie sceneggiature belle e pronte, con intuizioni, come quella del teletrasporto, destinate a durare nel tempo.

Per esempio, in apertura di ogni puntata di Star Trek, una voce narrante, con tono caldo e suadente, dice: “Spazio, ultima frontiera”, dando così l’idea – le prime missioni spaziali sono proprio di quegli anni – della circolarità dello spazio, luogo discontinuo, irto di tranelli, con poche vie di fuga, dove la velocità è padrona dell’uomo e della natura. Se pensate che stiamo parlando dell’universo, beh, vi sbagliate. In Roddenberry questi pensieri nascevano alla sola vista del GRA, il Grande Raccordo Anulare, prototipo degli interminabili viaggi interstellari che caratterizzano la serie. E la famosa lingua del popolo Klingon? Alfabeto alieno? Linguaggio parlato nelle galassie più sperdute dell’universo? Macchè! Puro gergo trasteverino. Non ci credete? Pensate all’espressione, all’apparenza incomprensibile, “Malimejomortaccituaedechinuntecemannastinfamecorbottositepijotesfonno!”. Bene, provate a leggere lentamente e a sillabare. Non vi pare di essere a Piazza Trilussa?

Un’altra delle caratteristiche più popolari dell’universo di Star Trek è la presenza di personaggi appartenenti a molte differenti specie extraterrestri, senzienti, meno senzienti, umanoidi o meno umanoidi. Chi non ricorda Andoriani (abitano nel cerchio blu più profondo dell’universo, ma sulla Terra hanno fondato, a Genova, una colonia blucerchiata, i Sampdoriani), Bajoriani, Betazoidi, Borg (poi evoluti in Federer e Nadal), Cardassiani, Ferengi, Klingon (arrivano da un pianeta scimmiesco, Kling Klong), Q (vivono in una galassia facilmente identificabile sulle carte astronomiche, perché sta in mezzo tra la “P” e la “R”), Romulani e Vulcaniani? Ebbene, Roddenberry li ha immaginati ispirandosi ai tipi umani che ogni giorno salivano sulle carrozze della metropolitana di Roma.

I lunatici. Mica arrivano dalla Luna, questi vivono… sulla luna. Di solito prendono il metrò verso l’una o un quarto all’una. Sono tipi un po’ strani, dall’abbigliamento eccentrico e dai comportamenti stravaganti. Se la prendono per un nonnulla, cambiano umore e parere a velocità della luce, attaccano briga con tutti.

I marziali. Non sono gli abitanti di Marte, arrivano dal rione capitolino di Campo Marzio e sono i frequentatori delle palestre di Roma. Tipi aitanti, se ti danno uno sganassone è come essere investiti in pieno da un meteorite, ti fan vedere tante stelle che neanche tutti i libri scritti da Margherita Hack: sono gli unici con cui i lunatici non attaccano briga.

I gioviali. Giovanili, allegri, sempre di buonumore. Amano ritrovarsi nel Tempio di Giove Capitolino. Appuntamento fisso, ogni giovedì. Spesso invitano personaggi famosi: Giovanotti, Giovinco, Giovanni (da solo, senza Aldo e Giacomo)… Contraddire i gioviali è però molto pericoloso: come Dr. Jekyll e Mr. Hyde, hanno una doppia personalità e possono diventare all’improvviso assai gioviolenti.

I netturbini. Con il loro scudo SPQR (Spazzando Puliamo Qualunque Roba), sono gli abitanti di Nettuno (comune di 48mila abitanti, a 60 chilometri da Roma). Veri maniaci della pulizia, una volta saliti a bordo cominciano a spolverare i sedili, a lucidare i vetri dei finestrini, a lavare i pavimenti con il detersivo “PaviNett” (brevetto e produzione locali) e a raccogliere le cartacce gettate dagli altri passeggeri.

I venerandi. Sono gli abitanti di Monte Venere (provincia di Viterbo): ogni giorno, fin dal viaggio inaugurale del 1955, vengono a Roma per andare a Monte Mario. Sono passeggeri molto anziani. Si narra che il più vecchio abbia addirittura 106 anni. Luce.

I saturno. Si chiamano così perché hanno l’abitudine di SAlire-a-TURNO sui mezzi pubblici. Un comportamento che provoca immancabilmente la reazione stizzita dei lunatici. I saturno sono anche molto narcisi: amano mostrare a tutti gli anelli che portano, e non solo al dito.

Un mistero, infine, avvolge il titolo della saga. A riguardo, le signore Berry non si sono “sbottonate” molto (“Non voglio certo che le mie dichiarazioni, insieme a qualche foto, finiscano su un calendario” avrebbe detto l’affascinante Halle). Tuttavia, da un appunto vergato a mano dallo stesso Roddenberry e rinvenuto in un vecchio cestino della fermata di Numidio Quadrato (che non veniva ripulito dai primi anni Sessanta…) sarebbe emersa una certa assonanza del titolo (Star Trek) con un’evidenza che lo stesso Gene proprio in quel bigliettino avrebbe posto in evidenza (“Mi impressiona come a Roma la gente si abitui a “star strett” sul metrò, senza colpo ferire”). Star Trek da Star Strett, dunque.

Sarà vero? Non possiamo dirlo con certezza, qui dallo spazio, ultima frontiera! Ma una cosa è certa: lo chiederemo al più presto al fratello di Spock. È un naturniano (arriva da Naturno, vicino a Bolzano). Sull’Enterprise lo chiamano “Speck”.