La puntata del 1 giugno di Un giorno in pretura è stata dedicata al processo per la morte di Sarah Scazzi, tenutosi presso la Corte D’Assise di Taranto e conclusosi con l’ergastolo a Sabrina Misseri e Cosima Serrano. In questa puntata si pone l’accento sulle ragioni finali di accusa e difesa, compito assai difficile, trattandosi di un processo indiziario. Il primo contrasto riguarda gli orari, perché mentre l’accusa ritiene che Sarah sia uscita di casa alle 13.45, la difesa ritiene che l’orario giusto sia intorno alle 14.30. Viene trasmessa la requisitoria dell’accusa che ricostruisce l’orario di uscita della piccola intuitivamente in base a ciò che aveva fatto Sarah quella mattina, in base alla testimonianza fondamentale del sig. Petarra che abita in quella strada e vide passare Sarah, facendo però dichiarazioni contrastanti in più verbali ed in base al fatto che Sarah aveva ricevuto un messaggio dall’amichetta Francesca a cui non aveva risposta. Il pubblico ministero deduce quindi che il famoso messaggio che Sabrina inviò alla cugina per invitarla ad andare a mare fu scritto dalla ragazza stessa per procurarsi un alibi perché aveva già ucciso Sarah. La difesa invece racconta in aula come all’inizio era la stessa procura ad essere convinta che Sarah fosse uscita alle 14.25 e come tutte le testimonianze concordassero con quell’orario, tra cui quella dei fidanzatini intervistati più volte e del sig. Stella che come punto di riferimento certo ha l’orario di spegnimento del suo computer. Si discute quindi su tutta una serie di messaggi scambiati tra Sabrina, Mariangela e Sarah circoscritti in quell’arco orario, proprio perché secondo l’accusa tutti quelli scritti da Sabrina erano falsi, servivano solo per coprire il fatto che Sarah fosse morta, mentre la difesa cerca di evidenziare la logicità di quegli sms alla luce di ciò che le ragazze avevano concordato la sera prima. Viene chiamata nuovamente in causa anche la famosa supertestimone Anna Pisanò che considerò una palese confessione di Sabrina una frase pronunciata dall’imputata in uno sfogo dopo che il padre era stato arrestato, commentando l’avvenimento come un tentativo di incastrarlo da parte della procura, a cui lei non aveva ceduto. La difesa la definisce come la più pettegola delle donne di Avetrana a cui difficilmente qualcuno farebbe una confidenza così importante. Si passa quindi a discutere del movente che avrebbe spinto Sabrina ad uccidere la cugina. Il Pm sottolinea come la ragazza abbia tentato di nascondere in tutti i modi la natura del suo sentimento per Ivano Russo, sminuendolo, secondo lui, proprio perché rappresentava il motivo scatenante dell’assassinio. Sostiene inoltre che tutto è da ricondurre alla lite scoppiata tra Sarah e Sabrina la sera prima della scomparsa, dovuta al fatto che Ivano elargisse più coccole alla piccola che a lei. Ma è la stessa Mariangela, presente quella sera, a negare questa circostanza. Sarah era semplicemente percepita da tutti come una bambina e veniva coccolata in quanto tale, compreso Ivano, così come viene confermato da i vari testimoni. Quindi, sostiene la difesa, non sussiste l’immagine di Sarah come rivale da eliminare, da strangolare. Da ricordare che nel processo è imputata anche la madre di Sabrina, Cosima Serrano, chiamata in causa da un fioraio di Avetrana, che parlando con una sua dipendente, Vanessa, guarda caso figlia di Anna Pisanò, le aveva raccontato di aver visto Cosima inseguire Sarah e caricarla in macchina con la forza. Secondo l’accusa questo fatto sarebbe davvero accaduto, secondo la difesa e lo stesso fioraio, sarebbe un sogno. Viene coinvolta una serie di persone in questo racconto ipotizzando che il fioraio abbia trasformato la sua visione in un sogno, perché la scena risalirebbe ad un momento in cui si stava recando ad un incontro amoroso clandestino con la stessa Vanessa. Da precisare che tutti, tranne il Pm e la Pisanò, sostengono che si tratti di un sogno. Tutti i difensori, sia di Cosima che di Sabrina, sono convinti che l’unico colpevole sia Michele Misseri, definito dall’avvocato Coppi come un uomo solo, stanco del lavoro, con un rapporto difficile con la moglie che aveva diverse volte minacciato duramente e con la quale i litigi avvenivano in modo estremo da diverso tempo. Sarebbe quindi secondo la difesa, da ricondurre a Michele Misseri, alla sua solitudine ed alla sua astinenza sessuale, l’uccisione della piccola Sarah. Nella sua prima confessione infatti fu lo stesso Michele a rivelare di aver tentato un approccio sessuale nei confronti della nipotina, spiegando il suo stato d’animo in termini molto precisi. Aggiunse inoltre di averla portata sotto l’albero di fico dove lo portava il padre da piccolo ed in merito, di fronte al tentativo della difesa di approfondire la questione, si è avvalso della facoltà di non rispondere. A questo punto viene trasmessa la contestazione che la difesa fa, parola per parola, del famoso incidente probatorio in cui Michele accusò la figlia di aver ucciso Sarah mentre giocavano a cavalluccio sulla veranda. Sabrina, interrogata in aula, ne smentisce ogni singola affermazione e ci sono diversi battibecchi in proposito tra il pubblico ministero e l’avvocato Coppi. Nel finale vengono trasmesse le richieste di ergastolo dell’accusa e di assoluzione da parte della difesa, fino alla sentenza finale da parte del collegio giudicante che ha condannato le due imputate alla pena dell’ergastolo, Michele Misseri ad otto anni di reclusione per aver nascosto il cadavere e tutti gli altri testimoni coinvolti nel processo a varie pene. La sentenza viene accolta con entusiasmo da alcuni presenti in aula mentre Sabrina va via tra le lacrime.