La stagione cinematografica in corso sta sparando gli ultimi colpi prima della consueta fiacca estiva, e uno di questi è il terzo capitolo (Una notte da leoni 3), a quanto pare conclusivo, di una delle saghe comiche più popolari degli ultimi anni, nonché una notevole macchina da soldi. Perché finora tutto ciò che il branco di lupi ha toccato è diventato oro, grazie a pochi fondamentali ingredienti come personaggi indimenticabili nella loro follia, situazioni ai limiti dellassurdo, gag esilaranti e, soprattutto, il vero collante delle tre pellicole, lamicizia maschile.
Nessun matrimonio e nessuna sbronza colossale stavolta, ma una spericolata avventura on the road che inizia durante il viaggio che il gruppo intraprende per accompagnare Alan (Zach Galifianakis), sempre più fuori controllo, in un centro psichiatrico. Un affare apparentemente tranquillo se non fosse che i quattro, presi di mira da un minaccioso criminale con il faccione di John Goodman, finiscono ancora una volta nei guai a causa di quel Mr. Chow (Ken Jeong) che già li aveva infilati in tanti disastri nei primi due capitoli. La solita girandola di imprevisti a catena li porterà prima a Tijuana e poi unultima volta a Las Vegas, dove tutto ebbe inizio.
Come accade per ogni sequel, è inevitabile che scatti il confronto con i film predecessori e va detto che questo atto conclusivo ne esce totalmente perdente, soprattutto rispetto al primo dei tre, perché gli mancano proprio gli elementi che ne avevano decretato il successo mondiale: limpatto dirompente e la freschezza della comicità, la presenza di brillanti figure di contorno, qui tutte piatte, e, particolare non da poco, limpianto basato sul day after, ovvero il meccanismo a ritroso che portava lo spettatore, catapultato direttamente nel dopo-sbornia, a ripercorrere insieme alla sgangherata comitiva tutte le folli tappe della notte in questione.
Forse un altro addio al celibato e unaltra sbronza avrebbero rischiato di creare uno schema logoro, però svuotare totalmente il film di questi elementi lo trasforma in un qualunque road movie mediamente divertente, nonostante i richiami furbi ed efficaci alla pellicola madre. Perché la vera distanza tra primo e terzo film si misura sul piano delle risate, continue e liberatorie nel precedente, decisamente più sporadiche e timide nellultimo, dal momento che una sceneggiatura a prova di bomba fatta di situazioni e battute fenomenali lascia il passo a una in cui azione e ritmo spadroneggiano a discapito dei dialoghi, raramente incisivi.
Rimangono l’ottima regia di Todd Philips e gli irresistibili protagonisti, su cui però aleggia la sensazione che in fase di sceneggiatura si sia deciso di campare di rendita, ingabbiandoli in meccanismi che, se divertenti le prime due volte, ormai iniziano a sapere di clichè. Il discorso vale soprattutto per i personaggi di Mr. Chow e Alan, che regalerà comunque soddisfazioni ai suoi estimatori.
Ancora una volta purtroppo, la frenesia di “spremere” fino in fondo quello che è diventato a tutti gli effetti un brand commerciale di successo va a discapito delle idee e del senso artistico, che dovrebbero essere alla base di qualsiasi progetto cinematografico. Nonostante questo, mancare l’ultimo appuntamento con il “branco” sarebbe come non presentarsi alla rimpatriata con dei vecchi compagni di scorribande memorabili.