Film dalle tinte fosche e lontane dalla leggerezza estiva, Blood, di Nick Murphy, è un thriller che oltrepassa i confini del semplice crimine per raccontare il dramma e la tensione psicologica di chi dal crimine stesso è perseguitato. Con ritmo e suspense mai in calo. Siamo in una piccola cittadina sulle coste inglesi e il cuore del paese viene scosso dalluccisione di una bionda dodicenne. La paura e lindignazione percorrono le strade del paese e la polizia ha il gravoso compito di scoprire la verità. Assicurare alla giustizia il colpevole. così che inizia un gioco altalenante e spietato tra Joe Fairburn (Paul Bettany) e il fratello Chris (Stephen Graham) – due degli agenti incaricati di risolvere il caso – contro Jason Buleigh, fin dal primo istante ritenuto lassassino della giovane donna.
A far cadere Jason nella rete dei giustizieri cè il suo passato difficile, linstabilità mentale, il sangue di cui già si è macchiato troppe volte e la conversione quasi maniacale e perversa a un Dio che lo assolva in vita dai suoi peccati. Non ci sono prove concrete, però. Solo supposizioni e la voglia – anzi il bisogno – di Joe di far riposare in pace quella povera ragazza uccisa da dodici coltellate. Tutto a causa di un passato opprimente. Un caso mai risolto, forse, e un padre, a lungo capo della polizia, che raccontava a Joe e Chris con quali metodi riusciva a strappare la verità ai criminali. Uneredità, dunque, molto più che pesante. Verso due personalità del tutto fragili, quelle di Joe e Chris, cresciute e vissute allombra reverenziale di un uomo autoritario e nellassenza di una madre che non cè da tempo.
così che Blood si culla tra due omicidi. Spostando lattenzione dalla risoluzione del primo, alle indagini che corrono veloci – troppo veloci – dietro Joe e Chris. E, ancora, dalle ricerche di Jason al senso di colpa che divora i due fratelli. Ecco il vero protagonista del film. Non i due crimini, né le indagini sui casi, bensì il significato cupo e affannosamente ingombrante che può avere leredità familiare sul nostro presente. Eredità paterna, in questo caso. Che plasma e ipnotizza due anime leggere e vuote conducendole, solo in un secondo momento, al senso di colpa travolgente.
Joe e Chris sono come due isole travolte dalla corrente. Solitarie e tristi, annegate in mezzo a troppa acqua e per contro prosciugate quando la marea si abbassa. Su questa immagine si inserisce anche la regia, fluida, trasparente, quasi glaciale. Non nelle emozioni, che raccoglie anche dalle ambientazioni esterne, meravigliosamente poggiate su una scala di colori freddi, e da uno studio spesso geometrico della messa in scena.
Nulla sembra lasciato al caso. La fotografia, la luce, che illumina e adombra i protagonisti in relazione alle loro colpe. Il ritmo e la tensione non si allentano mai. Nemmeno quando il primo caso è risolto e la fibrillazione psicologica per una colpa che si fa sempre più costringente ci coinvolge e accompagna verso la liberazione finale.