Quinto sforzo artistico (Levocazione) per il regista autraliano-malese James Wan che, con un numero limitato di lungometraggi, è riuscito a guadagnarsi un certo rispetto fra gli appassionati di horror. Il suo debutto con Saw (2004), prima che il troppo lungo franchise scadesse nel torture-porn, fece molto parlare di sé e si ricorda come un pezzo di cinema il cui thrilling tortuoso ne fa qualcosa di più che un semplice horror. Per nulla malaccio il violento dramma-action Death Sentence (2007) con Kevin Bacon e di sicuro effetto Dead Silence (2007), pauroso per chi odia i burattini. Con Insidious (2010) e seguito (Insidious 2, 2013) James Wan è entrato nellambito dellhorror metafisico, quello fatto di anime e creature fra questa e quella dimensione, sottogenere al quale appartiene anche LEvocazione.

Lo stile di Wan non si distingue per eccessiva sottigliezza, ma di certo non si può negare che riesca nellintento di spaventare le platee in cerca di qualche brivido, fosse solo per placare la calura estiva. The Conjuring, titolo originale che farebbe pensare a riti arcani e senza Dio, fa parte del novero di quelle pellicole alla The Amityville Horror (1979) più la solita strizzatina docchio al possession-movie che da quel de LEsorcista (1973) non ha smesso di tormentare i sogni degli spettatori.

Il film allincipit ci mette sullo spaventoso avviso che tutto ciò che verrà mostrato è la ricostruzione di eventi realmente accaduti nel 1971 alla sfortunata famiglia Perron, assistita spiritualmente dai coniugi Warren, gli stessi che assistettero i Lutz nella casa di Amityville; poco conta che nel caso di Amityville si dice che i Warren abbiano falsificato ampiamente la realtà dei fatti. Fatto sta che il regista Wan (anche alla sceneggiatura) abbia chiesto consulenza diretta sia a Lorraine Warren (Ed Warren è morto nel 2006), sia ad Andrea Perron (la figlia maggiore), i quali confermano che quel che si vede nel film rispecchia, con quel pizzico di drammatizzazione, of course, gli accadimenti patiti dalla famiglia Perron nei 10 anni in cui sono rimasti in una casa che evidentemente era da vendere il giorno dopo averla acquistata.

Questo il racconto. Nel 1971 Roger e Carolyn Perron (Rob Livingston e Lili Taylor), insieme alle loro bambine, si trasferiscono nella loro nuova casa di Harrisville, Rhode Island. Non passa troppo tempo prima che si renda evidente che la casa è abitata anche da una qualche entità malevola. Per uscire dallimpiccio, Carolyn chiede aiuto ai coniugi Warren, Ed (Patrick Wilson) e Lorraine (Vera Farmiga), investigatori dellocculto, i quali, recatisi in loco, arrivano a determinare che lentità, ovvero lo spirito della strega Bathsheba Sherman, vuole fiaccare lanima di Carolyn Perron per meglio possederla.

Che il film riporti fatti reali o meno, “dopando” la realtà, conta poco quando si affronta il grande schermo, anche se questa ci alletta con la dicitura “tratto da una storia vera”, poiché tutti sappiamo che in quel “tratto” che separa la realtà della fantasia si cela tutta la magia del cinema. In caso contrario meglio andarsi a vedere un bel documentario, sempre che ci si dimentichi che ciò che vediamo passa attraverso l’occhio del documentarista. Ma torniamo a bomba. Quello che a Wan riesce di sicuro è, come detto, la creazione di momenti di paura, immersi in un’atmosfera che richiama una certa cinematografia horror anni ‘70, anche grazie a una notevole cura scenografica.

Raccontare questa o quella sequenza non vale la pena e, francamente, rovinerebbe la sorpresa per chi volesse vedere un film che, proprio con questa e quella sequenza, cerca di sorprendere lo spettatore facendolo sobbalzare sulla sedia. Tuttavia il pericolo non scampato per Wan è quello di aver trasformato L’Evocazione in un semplice spooky-fest prono alla ragion-di-terrorizzare, così com’è stato per The Woman in Black (2012), pellicola con la quale la storica casa cinematografica Hammer ha cercato di tornare ai suoi good old days.

Wan nasconde nel buio e nelle zone periferiche della visione minacce ed entità che non mancheranno di atterrire i più (anche i più avvezzi all’horror), secondo le logiche dettate in buona parte dal cinema orientale che nasconde spettri negli stipetti e fa specchiare volti sui coltelli da sushi. Non manca ovviamente il suo trademark, ovvero un pupazzo spaventevole summa di ogni incubo filmico da quel di Profondo Rosso (1975), pellicola di Argento che a detta dello stesso Wan viene omaggiata con la presenza di un bambolotto fin dal tempo di Saw (2004). A chiudere il cerchio della paura, un sapiente e strumentale uso del sonoro che tantissimo può fare all’interno di una casa, location di fatto limitata. Va da sé che la sala cinematografica, con i suoi potenti mezzi audio, risulta dunque il luogo ideale per la visione, poiché difficilmente nell’ambiente domestico si può alzare il volume al punto da fare tremare la poltrona su cui si è seduti, cosa che invece può accadere al cinema per mezzo di frequenze sonore molto basse.

L’utilizzo di basse frequenze nei film horror non è un caso: l’utilizzo d’infrasuoni produce stati di ansia, agitazione e angoscia nelle persone che ricevono sul corpo queste onde, anche se non possono udirle. Pare inoltre che la visione e la percezione di entità (fantasmi, angeli, ecc.) sia in effetti conseguente all’esposizione a infrasuoni i quali possono creare, per vibrazione dell’umor vitreo, delle dispercezioni visive (un serio riferimento scientifico è S. Angliss et al., Soundless Music, in B. Arends & D. Thackara eds., Experiments: conversations in art and science. The Wellcome Trust, Londra, 2003).

La ridda di clichés che stempera non poco l’originalità del plot che trova il suo apice nell’esagitata scena finale con canoniche levitazioni e parole in latino, garanzia di ogni esorcismo che voglia dirsi tale, ha il suo contraltare con le buone performances generali degli attori, dal pacifico ritmo iniziale del racconto che non corre verso situazioni sensazionalistiche ma riesce anche a essere interlocutorio, nonché alla contenuta presenza della religione che, in un film di possessione, è cosa non comune.

Il tutto fa de L’Evocazione un film horror rispettabilissimo nel quale la confezione, certi virtuosismi registici (un lungo piano sequenza iniziale) e le porte che scricchiolano, prevalgono sulla limitata originalità del soggetto che preso di per sé rende la pellicola difficilmente memorabile. Da guardare da soli (e al buio) rimane comunque un bell’esercizio di resistenza, ma, per la suddetta questione dell’importanza del sonoro, la sala cinematografica rimane la migliore soluzione.

Ah, per i più coraggiosi si prenoti un viaggio ad Harrisville (Rhode Island), dove nel cimitero storico locale, di fronte alla caserma dei pompieri all’inizio della Sherman Farm Road, potranno fare visita e mettere un fiore sulla tomba della vera “strega” Bathsheba (1812-1885). A loro rischio e pericolo.